The Darkness
Dreams of Toast
Diciamocelo, i britannici Darkness saranno pure una macchina retrò dell’hard-rock, però sono divertenti quanto gli Helloween o i Nanowar Of Steel. Il loro modo di essere è la faccia ludica ma tecnicamente ineccepibile del Rock’n’Roll, è ironia metallara, è forza della natura ridente, è allegria della musica. Ascoltare questo album ci porta davvero fuori dal tempo ma la presenza è attuale, è cioè il modo surreale di suonare di una band che vive negli anni duemila e sa cosa del passato utilizzare. Avendo il genere in questione ormai più o meno finito il suo tempo innovativo, chi lo suona oggi lo fa con la consapevolezza di essere, in qualche modo, “finto”, però finto in senso lato, cioè verace nello spirito d’amore verso questo tipo di arte ma con l’attitudine a giocarci senza pretendere di creare del nuovo. Insomma, anche quando copia troppo, il gruppo rimane geniale e nonostante tutto personale.
‘ROCK’N’ROLL PARTY COWBOY’ è uno splendido pezzo d’apertura, con il suo heavy-riff tagliente, la pesantezza del drumming e la voce calda irriverente a scatenare subito rockitudine pura. Dopo un pezzo così duro, arriva il rock’n’roll vero e proprio ma suonato in modo compatto e denso, e ‘I HATE MYSELF’ ricorda la verve divertita del glam elettrico anni settanta guidata al tempo dagli Sweet; la canzone ha un leggero piglio eclettico. L’opera non è fatta solo di canzoni hard ma le migliori sono proprio le più rolleggianti come anche ‘MORTAL DREAD’ che in maniera corale spinge a dondolarsi, a fare headbanging e a prendere pose da guitaring; perfetta traccia da utilizzare ai concerti. L’episodio più greve è ‘THE BATTLE FOR GADGET LAND’ che un po’ fuori dalle righe, ma sorprendendo piacevolmente, scuote con arrembaggio Garage-Punk come a non permettere discussioni. Ci sono diversi brani molto più morbidi e limati dal punto di vista sonoro, pure non hard, ma sempre generati dalla stessa attitudine frizzante e giocosa, forse meno pregnanti ma che non abbandonano lo spirito interiore della band, e sempre piacevoli da gustare. Country e Aor fanno parte del pacchetto e sono parte del loro dna costituente; c’è l’aggiunta della orchestrazione soft nell’ultima traccia dell’album ‘Weekend in Rome’, ma ci sta senza problemi.
Il gruppo è chiaramente ispirato spesso alla stilistica dei Queen (e anche Beatlesiana) e non avviene in modo nascosto ma piuttosto esplicitamente come a fregarsene altamente. In effetti questo sembra un lavoro composto in libertà come se i musicisti vi ci siano impegnati solo per divertimento senza tenere conto di cosa assomigliasse a cosa pur rendendosene conto (è impossibile non accorgersene). La visione glam emerge varie volte e ha il sapore dell’essenza vintage ma contenendo una forza che permette un ascolto partecipato. L’ugola rispetto al passato utilizza meno falsetto, anzi interagisce più volte con una certa tonicità maschia di fondo, diversificando meno ma ottenendo ogni volta una perfetta incisività. Carattere superbo della chitarra e funzionali tutti i passaggi e le variazioni sul tema. Non siamo di fronte alla grande opera d’arte, ma si constata la bravura di una realtà che sa far sorridere di piacere. Copertina gran brutta ma l’importante è fruire del contenuto sonoro.
Roberto Sky Latini