Skeletoon

The 1.21 Gigawatts Club

A parte il titolo dell’album molto particolare, la band italica suona un Power-metal piuttosto tradizionale. Però possiamo dire che oggi, 2021, al quinto full-lenght, il gruppo è cresciuto e si distende su una scrittura dinamicamente matura.

Sarà pure un combo derivativo, ma funziona in tutti i comparti e tra i brani troviamo quelli che si alzano qualitativamente senza apparire scontati.

Non capisco il senso di fare un intro così breve che poteva far parte musicalmente della traccia successiva ‘Holding On’, ma probabilmente ciò avviene per motivi narrativi legati al testo. In ogni caso si parte subito con una impostazione melodica che traccia la scia su cui navigherà l’intero album. Il Power d’attacco ‘OUTATIME’ è fra quelle song del lotto che più valgono; questo grazie ad una linea melodica più secca e combattiva, e per un rifframa articolato, pur rimanendo del tutto, come del resto le altre song, nel classicismo power tedesco più tipico. ‘2204’ con l’arrangiamento non vuole perdere la sua caratteristica heavy, ma è realizzata come fosse pensata sulla falsa-riga di canzoni appartenenti ai Battle Beast o i Beast In Black, ma riesce ad essere un pezzo valoriale perché la sua commercialità si pone in modo tale da voler evitare l’appiattimento, e così rifuggire il rischio di trasformarsi in Pop. Probabilmente il migliore episodio è quello veloce ma non troppo di ‘WE DON’T NEED  ROADS’, in cui il coro del ritornello e la ritmica ricordano un po’ lo spirito degli Helloween, mantenendo una attitudine italiana; qui si sta un po’ meno sulla melodia di stampo ipermelodico, immettendo una certa carica rock che è quella che il metal spesso nel power mezzo-sinfonico si tende a perdere.

La canzone che rappresenta al meglio la massimizzazione melodica della band è ‘PLEASURE PARADISE’ che pur non avendo una caratura originale è però troppo piacevole e frizzante per non godersela, è l’esempio di come la loro maturità sappia gestire ogni minimo risvolto facendo sì che il piacere di fruizione sia incontenibile. Un brano “carino” come ‘Pinheads’ sembra legarsi parzialmente agli anni settanta di gruppi glam come Slade o Sweet, facendo sì che venga fuori la loro verve più sbarazzina. L’errore più grosso in questo lavoro diventa la pop-ballad ‘Enchant me’, smielata ma soprattutto iper-scontata, che sembra di aver ascoltato mille volte; e per ciò che concerne il ritornello fa venire la nausea per quanto zuccheroso esso appare, è peggio di certe pessime ballate glam anni ottanta. Va assolutamente dato merito alla loro abilità di coverizzazione del brano rock’n’roll più famoso del mondo, cioè ‘Johnny be good’ di Chuck Berry, che qui viene suonato in maniera egregia e che alla fine è la cover meglio riuscita che io abbia mai sentito di tale song; estetica accordata sulla sonorità Power degli Skeleton, ma anima primitiva che viene conservata: bravi! Il concept parla di “Ritorno al Futuro” e questa song anni cinquanta, chi conosce il film lo sa, doveva starci per forza.

Spesso certe note chitarristiche iniziali fanno storcere la bocca perché ridondano lasciandosi percepire come già sentite. Gli Skeleton sono solari, più solari dei Treat or Treat a cui assomigliano, e quando assomigliano agli Helloween, ne prendono il taglio meno duro. Questa loro “allegria” li rende a volte leggeri, ma non banali strutturalmente. La loro orecchiabilità non è forma accessoria ma essenza sostanziale; le melodie accessibili portate all’estrema conseguenza sono la musica stessa della band che però non diventa quasi mai pop (e quando succede purtroppo il giudizio è sfavorevole). L’ugola è diventata splendidamente efficace, senza mostrare le debolezze perse progressivamente dall’esordio ad oggi, ed è spesso il suo virtuosismo a sollevare anche i momenti meno personali che i giri di chitarra più volte si trovano a realizzare. Ad ogni modo, il senso derivativo di vari elementi si perde nelle dinamiche globali delle tracce, permettendo all’ascoltatore di non fermarsi su tale difetto. Un disco che non sarà un capolavoro, ma in cui la musica scintilla come impazzita di gioia, e questa atmosfera ne fa un disco molto accattivante rimanendo perfettamente metal, cioè un disco che ascolto dopo ascolto diventa anche irresistibile.

Roberto Sky Latini

Intro Unveiling Secrets
Holding On
Outatime
The Pinheads
2204
Enchant Me
We Don’t Need Roads (The Great Scott Madness)
Pleasure Paradise (Oh Là Là)
The 4th Dimensional Legacy
Eastwood Ravine
Johnny B. Goode (cover Chuck Berry)

Mr. Tomi Fooler – vocals
Andy “K” Cappellari – guitar
Fabrizio “Fabbro” Taricco – guitar
Giacomo “Jack” Stiaccini – bass
Enrico “HenrySydoz” Sidoti – drums