Shining Black

Postcards from the End of the World

Prodotto confezionato alla perfezione; suoni limpidi ed equilibrati gestiti senza calcare troppo sulla pesantezza dei suoni, ma arrangiamenti corposi che non permettono al risultato di apparire troppo leggerino, benché qui si parli di Class Metal arioso e melodico.

Il cantante americano Boals e il guitar-hero italiano Thorsen ci riprovano, ed ecco il secondo album per un progetto già nato maturo nel 2020. Due maestri che non lavorano al minimo sindacale, e costruiscono un lavoro di ampio respiro, ancora migliore del precedente.

La title-track è già classe pura, pur non essendo la migliore traccia. La morbida ‘HIGHER THAN THE WORLD’ scivola via con enfasi, accattivante, atmosferica, con una verve sognante, ben ritmata così da non diventare una ballata vera e propria; e la chitarra, prima liquida poi elettricamente frizzante, è un cesello di estrema qualità espressiva. La possanza della band si trova in canzoni quasi alla Ronnie Dio come ‘WE ARE DEATH ANGELS’ che s’inerpica per una bella raffinata scalata verso cieli solari. Un altro episodio di ottima presenza è il power-brano ‘A HUNDRED THOUSAND SHADES OF BLACK’, in cui le soffici parti non fanno che dare maggior risalto ai pezzi accelerati e dimostrano l’intelligenza ispirata dei musicisti. Lineare bellezza per ‘FEAR AND LOATHING’ che brilla imponendosi all’ascoltatore con la sua sonorità molto carica e anche con una delle migliori linee melodiche dell’album. Le variazioni in alcune song sono importanti e tonificano le tracce, è il caso per esempio della semi-ballata ‘Like leaves in November’ dove un ponte centrale aumenta la pregnanza del pezzo.

Si rimane nella musica metal più energica sebbene siano vari i momenti che sono cantati al modo dell’AoR e la distorsione sia arrotondata; ci pensa la sezione ritmica ad evitare che si navighi troppo nella leggerezza. Un po’ di Hard Rock, un po’ di ritmi heavy, un po’ di assoli neoclassici tesi, e tanta melodia. La voce è esteticamente bella, fascinosa e carezzevole, ma anche tecnicamente in grado di rendere fluido ogni passaggio; evita cattiverie e durezze, ma la performance è da grande esecutore. Il virtuosismo è parte integrante di questo album, dove i vari comparti si divertono ad ampliare ogni situazione. La chitarra passa da suadenti incisioni ad uno shredding evoluto, mai fine a se stesso, ma dimostrando quanta bravura ci sia nell’imbracciare lo strumento.

C’è qualcosa dei Vision Divine e anche dei progetti di provenienza del singer (soprattutto Royal Hunt), ma la fusione ha generato ancora una volta un senso globale compatto ed elegante. La tastiera accompagna addensando le cose, ma rimane in secondo piano. Le linee cantate non sono tutte originalissime, talvolta sembra che qualche dejavù arrivi, però nel complesso si ha forza e carattere, e molti passaggi già sentiti possono essere sorvolati che la riduzione di essenza valoriale non è la regola compositiva, permanendo soprattutto ricca e funzionante. Si percepisce una parziale freddezza al primo ascolto, che scompare entrando nelle melodie e nei vari inserti melodici ripetendoli, questo perché non si tratta di melodie fatte per vivere di superficialità sebbene siano molto orecchiabili. La Frontiers anche quest’anno sforna quindi musica di spessore, e le due forti personalità hanno avuto il carattere giusto per dare risalto a quella che si chiama “buona musica”.

Roberto Sky Latini

Postcards from the end of the World
Higher than the World
We are Death Angels
Summer Solstice under Delphi’s Sky
Like Leaves in November
A Hundred Thousand Shades of Black
Faded Pictures of Me
Mirror of Time
Fear and Loathing
Time Heals, They say

Mark Boals – vocals
Olaf Thorsen – guitar
Oleg Smirmoff – keyboards
Nik Mazzuconi – bass
Matt Peruzzi – drums