Cesare Basile
Saracena
A trent’anni dal suo esordio solista, Cesare Basile torna sulla scena musicale con “Saracena”, un album che segna un’evoluzione radicale nel suo percorso artistico, amplificando il suo approccio intimo e politico. Uscito il 3 maggio 2024 per Viceversa Records, l’album si distingue come il lavoro più oscuro e sperimentale del cantautore siciliano, una riflessione profonda e urgente sulla condizione di esilio e perdita, temi che si intrecciano alla poesia di Mahmoud Darwish e alle storie di esuli e perseguitati.Con “Saracena”, Basile decide di affrontare con coraggio e velocità il dramma della Nakba, la catastrofe palestinese, un tema tanto universale quanto controverso, e lo fa senza preamboli, con la necessità di agire senza la riflessione razionale che spesso tempera il messaggio politico. In questo album, la lingua siciliana non è solo un atto di resistenza identitaria, ma un linguaggio vivo che mescola il passato e il presente, il tradizionale e il contemporaneo, come lo stesso Basile sottolinea. Non è un ritorno nostalgico alla tradizione, ma una reinvenzione costante di una lingua che racconta storie di dolore e speranza.
Musicalmente, “Saracena” è un viaggio sonoro ambizioso, che fonde elettronica, suoni acustici e improvvisazione. Nel brano “C’è Na Casa Rutta” Basile gioca con dissonanze elettriche e rumori, affiancando strumenti tradizionali e auto-costruiti a tessiture elettroniche che non solo rievocano il passato, ma lo scontrano con il presente.Il brano “Kafr Qasim” apre ad una musica di ispirazione orientale quasi totalmente strumentale dove l’uso di suoni ispirati alla tradizione ti invita ad un viaggio introspettivo.”Ciuri i Cutugnu” è una sperimentazione e alternanza di suoni che danno luogo a vari scenari :si sposta tra un suono e l’altro ,ognuno diverso tra loro e sempre più incalzante fino a giungere al successivo brano “Prisenti Assenti” dove una voce narrante parla di storie di dolore e di separazione.
Ma ecco che arriva la traccia “Bbacilicò” che aumenta il ritmo in un breve quadro strumentale.Un momento sospeso.
La sua musica è un’insieme di contraddizioni : tra la cupezza e la speranza, tra l’intimismo e l’urgenza politica. I riferimenti al Mediterranean Gothic, alla musica africana e al cinema in bianco e nero sono evidenti, ma il tutto è filtrato attraverso l’originalità di un linguaggio sonoro che è sempre più personale, segnato da una ricerca continua di nuove forme espressive.Il brano “Caliti Ciatu” ne è un’ulteriore dimostrazione.
Una lunga introduzione musicale apre a “U Iornu Du Signuri” ,la narrazione di una guerra che porta morte e distruzione, un accorato appello verso chi porta dolore ed esilio ,una musica che poi si perde nel nulla.Il lavoro si dipana come un flusso continuo di emozioni e pensieri, senza sosta, che pur non avendo la linearità di una narrazione convenzionale, riesce a trasmettere con potenza la sua idea centrale: l’esodo, la perdita e la nostalgia come temi universali, che non appartengono solo alla Palestina ma che risuonano in ogni angolo del mondo. Questo album nasce in un contesto dove spesso agli artisti viene chiesto solo di “intrattenere”, mentre Basile sceglie di parlare di esilio, di separazione, di luoghi perduti e di ferite che non guariscono.
La sezione finale dell’album, più onirica e lirica, è forse l’unico barlume di speranza in un lavoro che per il resto rimane intriso di una “misteriosa cupezza”. Ma anche quella sezione finale, con il brano “Cappeddu a Mari”,che avrebbe dovuto aprire a una sorta di liberazione, non fa altro che evidenziare la durezza della realtà, una “amarezza sconvolgente” che accompagna ogni utopia, sostenendola nonostante le sconfitte.
In definitiva, “Saracena” è un album potente, urgente, e avvolgente, che conferma Cesare Basile come una delle voci più autentiche e coraggiose del panorama musicale italiano. La sua capacità di intrecciare linguaggi musicali e poetici, di sfidare convenzioni stilistiche e di affrontare temi complessi con una sincerità disarmante, fa di questo lavoro un’esperienza che non si limita a un ascolto passivo, ma richiede una riflessione profonda e personale.
Un album che, pur radicato nelle tradizioni, guarda avanti, verso un futuro incerto ma non meno necessario di essere raccontato.
Anna Cimenti