Rumjacks
Dead Anthems
I Rumjacks sono australiani ma posseggono l’attitudine celtica a sparare proiettili britannici o irlandesi di stampo punk. In realtà i quattro membri della band vivono separatamente negli USA, in Germania, in Italia (il batterista è italiano) e solo uno in Irlanda ma la musica si distacca da qualsiasi influenza geografica che non sia quella anglosassone, e così viene costruita una realtà tradizionale del mondo punk antico (anni settanta/ottanta) che vede anche Ska e Folk riunirsi sotto l’egida country del sound celtico. Rockettari veraci dentro una ambientazione polivalente. Al sesto album e ormai rappresentanti degni di una nicchia artistica che però merita grande rispetto.E via a tutta velocità con la maggior parte dei brani, in alcuni casi un po’ troppo lineari come l’apripista ‘Come Hell or high Water’, ma ci sono anche episodi più caratterizzati come la funny ‘THEY KICK YOU WHEN YOU’RE DOWN’ che sembra una esalazione da baldoria alla festa di bevitori, cantata coralmente e con la voce calda del classico punk-style. Ma essere diretti e frontali funziona benissimo e ‘COLD LIKE THIS’ è uno degli esempi migliori in tal senso, con un ritornello così azzeccato che non dà fastidio neanche se si ripete senza sosta, così come la canzone testardamente fa. Clasheggiante ‘FATHER’S FIGHT’ con la sua verve dinamica che nonostante l’energia non è un pezzo d’attacco duro, eppure proprio per la sua maggiore ariosità diventa uno dei momenti migliori del disco.
Tra le cose ska, la miglior accentazione si ha con ‘SCANDAL’ che usa i cori con abile intuizione per una delle linee melodiche più efficaci, ed anche l’uso acustico della chitarra funziona perfettamente. Divertente il ritornello di ‘ROAD RASH’ che indietreggia verso il rock anni cinquanta/sessanta senza snaturare l’essenza punk che però ricordiamo spesso ha fatto riferimento a quel passato, e non solo coi Ramones. Fa bella mostra di sé anche il lato meno irruento come si nota con la più ballabile ‘An irish goodbye on St.Valentine’s Day’, con la più dolce ‘October’ e con l’introspettiva ‘Pulled from the Shore’, senza perdere feeling e creando ogni volta una bella atmosfera.
Pezzi scoppiettanti pieni di carica festante, con sonorità fatte da strumenti non ortodossi nel rock come ad esempio la cornamusa, per quanto ormai frequenti rispetto al passato, in cui la chitarra elettrica rimane importante, gestita a favore di un utile addensamento che fluidifica l’andamento. Si canta con alto tasso di melodia e con cadenze tipiche del genere con una impostazione metrica ben dentro la struttura compositiva, senza tentare scherzi innovativi, ma centrata in maniera adeguata per farsi canticchiare dall’ascoltatore. Musica facile ma arrangiata con raffinatezza anche quando maggiormente scalciante. Negli altri loro lavori si sono avuti pezzi molto più “cattivi” di quelli che si trovano qui, ma nulla toglie al valore di questo gustoso full-lenght che induce a lasciarsi andare e a rilassarsi a scatenati dondolamenti rock’n’roll, non proprio a pogare ma comunque a rimanere fisici. Appare come qualcosa d’altri tempi e però può mettersi nella lunghezza d’onda anche del popolo dei nostri giorni, perché vive della giusta vibrazione per risuonare in tutti coloro che amano ascoltare (e andare al pub).
Roberto Sky Latini