Robin Trower
Come and find Me
Diciannovesimo disco solista per il londinese Robin Trower dopo anche nove scritti con la Trower Band e naturalmente provenendo dalla carriera fatta coi mitici e necessari Procol Harum (1967-1977). Cioè un “signor musicista” di quelli presso cui bisogna inchinarsi, creatore della storia stessa del rock. E a Ottanta anni rieccolo mai domo, dopo due anni dal precedente ‘Joyful Sky’ si presenta con un bel nuovo lavoro, certo ancorato al vecchio sound blues ma la classe è riaffermata. La chitarra è sempre la stratocaster, e l’uomo non perde mai la voglia di stirare le corde e fare quei bending che tanto gli sono cari. E per rimanere nell’ambito della sua caratterizzazione, viene emessa quella sonorità roca che proviene dallo stile alla Hendrix che però ha fatto sempre parte della sua costituzione espressiva.
Le tracce sono corte, gli assoli mai lunghi, la semplicità è l’elemento che valorizza il sentimento, il quale però è espresso con ricchezza strumentale intesa come bravura gestionale e passionale della stessa. L’apripista ‘A LITTLE BIT OF FREEDOM’ procede con ritmo sostenuto, arrangiamento tonico e chitarra ruvida a cavalcarlo. L’atmosferica ‘ONE GO ROUND’ è retta da un giro ossessivo su cui la voce suadente e la chitarra fanno intarsi preziosi, sinuosamente seducenti. ‘COME & FIND ME’ suona dolce nelle sue note chiare e nel primo assolo, con però un ritornello che alza leggermente il tono per una carica che bilancia con solidità l’aria rarefatta delle strofe, e finendo con un bel corposo assolo più tenacemente roccioso. Più energicamente rock arriva ‘THE FUTURE STARTS RIGHT HERE’ e la chitarra canta con l’elettricità giusta, dritta al punto. L’altro brano elettrico è ‘WITHOUT A TRACE’ che con ‘The Future…’ fa il paio adattissimo alla dimensione live.
La classicissima ‘I FLY STRAIGHT TO YOU’, per quanto tradizionale è vissuta con personalità, e nel suo giro ripetuto afferra l’ascoltatore che si sente abilmente trascinato. La sfumatura simil-pop di ‘Take this Heart away’ segue la scia che fu anche di Eric Clapton, per una riuscita più commerciale ma senza perdere nulla del feeling evocativo del disco. In realtà il pezzo commerciale di punta, quello migliore, è ‘TANGLED LOVE’ dove il posto di singer viene preso ottimamente dalla blueswoman Jess Hayes. Uniche ballate ‘Capture the Life Begun’ e ‘Time stood still’, entrambe gentili nella vocalità e cullanti nella chitarra che ivi abbandonano per un momento certi suoni nervosi; la seconda però aumenta il tasso soave diventando molto molto avvolgente e chiudendo con enfatica delicatezza l’album. I vari episodi minori dipendono solo dal gusto dell’ascoltatore, che di filler non ce ne sono.
Nessuna novità dal punto di vista del genere, ma l’artista ne ha tutto il diritto, del resto suona dagli anni sessanta e l’essenza antica è sua prerogativa; egli è portatore sano di un passato che vale ancora la pena di gestire e sostenere. Stavolta il suo disco è più pacato del solito ma la verve vibra come tenendo a bada una carica che si sente far parte del chitarrista. Se la bella voce, positivamente umorale, va sempre verso una certa leggiadrìa morbida, è la sei corde ad immettere quella parte meno piaciona, tirando su un feeling più acceso o crepitante, grazie ad una ruvidità tecnica fatta anche di riverberi addensanti, che non vuole appositamente mai risultare troppo pulita. Il groove di elegante fattura ha carattere forte nonostante i brani vogliano essere generalmente calmi, e così facendo il groove fa da sponda ad una chitarra risoluta, non troppo virtuosa ma dall’anima profonda. Le canzoni sono prevalentemente blues anche quando mescolano funky e soul, il tutto con una iniezione di rock che rende tutto meno sobrio di quello che appare in prima istanza. Sembra musica creata proprio per il piacere di farlo, spontanea e sincera, con l’intento però di essere anche tecnicamente efficace. E’ musica che funziona bene per raccontare la giornata dopo il tramonto, tranquillità che tiene la brace accesa sotto la cenere perché è un sound che fermenta, che regala uno spirito forte. E’ la tradizione che si misura con l’eleganza di un artista d’altri tempi, eppure ancora di un fuoco vivo ed intenso.
Roberto Sky Latini