Piah Mater

Under The Shadow Of A Foreign Sun

Dopo sei anni dalla pubblicazione dell’ultimo disco, ritorna il duo brasiliano Piah Mater con il loro death metal progressivo, per l’etichetta Code666.Il gruppo di Rio de Janeiro, dal punto di vista delle liriche, affronta la tematica legate all’inadeguatezza del vivere dal punto di vista personale, ma anche il disagio verso il proprio luogo di nascita e le sue condizioni sociali particolarmente difficili.In questo disco non manca di certo l’influenza del gruppo svedese Opeth, che rimane sicuramente il punto di riferimento della propria proposta, ma soluzioni e idee creative stanno rendendo sempre più personale la musica dei Piah Mater, allontanandoli da questa pesante etichetta.Tecnica, qualità ed eleganza sono le prime cose che vengono in mente ascoltando queste note, supportate da una produzione altrettanto raffinata che esalta queste sensazioni, senza renderle troppo patinate.Le atmosfere sono malinconiche ed enfatizzate da strumenti non canonici per il metal, come flauto, violino e sassofono che richiamano sonorità che si discostano molto dalla terra natia, avvicinandosi molto di più al mondo nordeuropeo.Proprio questa scelta musicale fa pensare ad un collegamento con le liriche proposte, dove il distaccamento e il senso di inadeguatezza verso la propria terra, spinge il gruppo a percorrere lidi musicali sicuramente più vicini al continente europeo.

L’ondata creativa del gruppo è veramente vasta, perché se la base di partenza è un death metal estremamente progressivo, si possono riconoscere rallentamenti riconducibili al doom, riferimenti per lo più atmosferici che richiamano al black metal melodico e tratti quasi operistici.L’alternanza del cantato tra un ferale growl e clean vocals chiare e maestose arricchiscono notevolmente il ventaglio di soluzioni che il gruppo propone.Anche il sassofono dona quella venatura jazz grazie alle gesta dell’ospite del disco, Jørgen Munkeby degli Shining.Tutti questi ingredienti sono abbinati egregiamente creando una “pietanza” musicale assai ricercata e particolare, destinata a palati raffinati.Questa caratteristica riesce ad essere in alcuni momenti una nota leggermente dolente, perché in alcune fasi si ha la percezione di un ascolto complesso e stratificato, che richiede numerosi ascolti e particolare dedizione, a discapito della fruibilità.

Questo non intacca minimamente il concetto e la ricerca nella bellezza nel senso più ampio possibile del termine, la ricerca sonora e la qualità esecutiva sono encomiabili e donano a questo prodotto un’ aura magica e avvolgente per tutto l’arco dei cinquanta minuti.Un’opera che fa dell’eleganza il suo tratto distintivo con un livello estremamente elevato di qualità, ma che per certi versi può risultare un po’ complesso e che ancora non si è abbastanza distaccato dalle proprie influenze di partenza.Un notevole passo avanti per i Piah Mater e un tassello fondamentale per la loro carriera, che fa davvero ben sperare per la propria evoluzione nel tempo.

Per chiunque ami questa tipologia di gruppi che fanno della ricerca musicale e delle atmosfere ricercate il loro tratto distintivo, questo è sicuramente un disco da non perdere.

Daniele Giudici

As Islands Sink
Fallow Garden
Macaw’s Lament
In Fringes
Terra Dois
Canicula

Luiz Felipe Netto – vocals, guitars, keyboards, string arrangements
Igor Meira – guitars
Luan Moura – bass
Pedro Mercier – drums