Opeth
The Last Will And Testament
Ammetto di trovarmi enormemente in difficoltà e non perché non sappia che pesci prendere, ma perché capita di trovarsi con un bel po’ di ciccia sulle braci e mai come in questo caso, è tutta roba buona per andare a costituire un piatto succulento
: un piatto che potrebbe fare gola a molti ma, ovviamente, non a tutti.Molte sono le band che hanno attraversato il corso della storia e non tutte, anzi quasi nessuna, ne sono uscite indenni, ma ci sono alcune che riescono, nonostante cambi di linea, cambi di formazione e cambi compositivi, ad attraversare praticamente indenni il corso della storia: è il caso degli Opeth, di cui si può sicuramente dire tutto e il contrario di tutto ma di sicuro non si può dire che non abbiano avuto il coraggio di osare né si può asserire che abbiano proposto album di qualità scadente.
Come ho detto la difficoltà è davvero tanta, anche perché entra fortemente in gioco il cuore di fan della band, che seguo sin dagli albori e che ho visto attraversare tutte le varie evoluzioni del proprio sound e della propria scrittura, fino ad arrivare ad oggi con questo nuovo capitolo The Last Will And Testament: un album che si annoda dietro un concept legato alla verità di una famiglia, una verità che può essere dolce e dolorosa allo stesso tempo, apparentemente perfetta eppure marcia dentro, quasi come fosse una riproposizione sotto un’altra luce, del quadro di Dorian Gray: insomma un concept che lascia presagire atmosfere totalmente cangianti, in grado di cambiare registro da un momento all’altro, esattamente come cambiano gli umori delle persone sedute attorno al tavolo della letteratura del testamento lasciato dal patriarca protagonista della storia: un testamento che riserva enormi sorprese e la musica concepita e realizzata da Åkerfeldt e soci è in grado di lavorare molto bene ai fianchi, insinuandosi pian piano nelle sensazioni che proviamo mentre procediamo con l’ascolto del disco: un album prog a trecentosessanta gradi, in grado di rimandare la mente a vecchi dispacci, così come di lasciarla vagare nel mare delle ultime produzioni.
The Last Will And Testament non è assolutamente un album semplice, non è un disco da primo ascolto e soprattutto non è un disco che va affrontato in track by track, perché i brani confluiscono gli uni negli altri, ed è solo seguendo i continui cambi atmosferici e l’altalena emotiva che si può apprezzare il lavoro. Detto ciò mi dispiace per coloro che, dato il ritorno del growl, si aspettavano un rientro in ranghi passati che hanno caratterizzato la discografia (enorme) degli Opeth, ma non troveranno nulla o quasi di tutto questo: la scrittura dei Nostri è sicuramente tornata ad essere più oscura, è tornata ad essere più fluida nelle strutture e sovrastrutture e nella stratificazione tutta del disco, sono tornati quei cambi di tempo che nonostante appaiano completamente differenti, riescono a collegarsi alla perfezione e coordinarsi con il mood che il testo vuole esprimere, ma non è assolutamente tornato il death che andava a costituire l’ossatura di fondo del dettato musicale che gli svedesi hanno costruito fino a Watershed: ecco proprio di questo ultimo lavoro in studio che funge propriamente da spartiacque, si possono ritrovare degli echi in questo lavoro, soprattutto in certi modi di aprire a momenti più concitati che passano a momenti più soffici, ma l’idea di fondo è la progressione estrema di quanto detto in In Cauda Venenum: il disco di riferimento, se proprio se ne vuole prendere uno è proprio questa ultima release: funge da base per l’evoluzione della concezione puramente progressive, mentre la struttura di fondo sembra fare coppia con la struttura di Still Life (altro concept): musicalmente sono totalmente agli antipodi i due album, ma si incontrano nel pensiero, nella necessità da parte di Åkerfeldt di ricorrere a quel tipo di struttura per esporre a pieno tutto quello che ha da dire in questo concept album.
Se proprio si vuol cercare qualcosa che rimandi un po’ indietro nel tempo si intravedono delle flebili lucine che si accendono intorno a Watershed e a Deliverance, cui rimandano alcuni modi di esporre i riff da parte della band, lavorando molto su certi stop e ostinati di cui Deliverance è pieno, ma in tutto questo non c’è ombra di death metal, giusto un paio di riff di §4 e §5 hanno degli accenni che possono fare pensare alla lontana al death metal, ma per il resto si possono rintracciare estremizzazioni di quanto fatto da King Crimson e Yes in primis e alcune cose che rimandano alla calma apparente che John Zorn esprime con grande maestria. Interessantissimo il lavoro fatto dal basso, che mai come in questo disco è protagonista delle composizioni e sinceramente non si può non togliersi tanto di cappello dinnanzi agli arrangiamenti operati da Martin Mendez e alla capacità di essere estremamente presente e reggere bene il tutto soprattutto nei momenti più delicati e ariosi: una grande maturazione da parte di questo grande bassista che sinceramente ho sempre considerato troppo relegato.
The Last Will And Testament è un disco che potrebbe essere apprezzato anche dai vecchi fan degli Opeth, perché di base è un disco molto molto Opeth, ma credo che coloro che impazziranno saranno quelli che hanno apprezzato la svolta propriamente prog della band: mi dispiace ma no, gli Opeth non sono tornati o meglio non sono tornati nel senso che intendono molte persone, resta il fatto che il disco è uno spettacolo e già solo i Capitoli 4, 5 e 6 valgono l’acquisto del disco e se poi si pensa alla chiusura, tra l’altro unico brano ad avere un titolo, con A Story Never Told, alla sua delicatezza eterea e alla sua enorme forza espressiva e alla bellezza compositiva, non si può non promuovere un disco che, per lo meno per chi scrive, è decisamente sopra le aspettative. Ero seriamente convinto che Åkerfeldt avesse assestato la sua scrittura su un certo standard ed invece è riuscito ad andare oltre una certa zona confort: anche il modo in cui ha utilizzato la collaborazione con Ian Anderson o la teatralità enorme con cui canta, lavorando su registri vocali a lui non consoni, operando cambi inaspettati ma soprattutto credibili.
Daniele “Darklordfilthy” Valeri