MindAhead

6119 Part I

Il Progressive Metal di questa band sembra musica facile a causa di certe melodie quasi stucchevoli, invece all’impianto strutturale piace cambiare le carte in tavola anche facendo perdere la linea conduttrice delle canzoni.
Sono al secondo album ma già decidono di alzare la posta in gioco, un po’ come fecero i Dream Theater quando uscì ‘Image and Words’. ‘Reflections’ del 2017 ha iniziato questo concept, che parla di fantascienza, di un mondo distopico, ed è stato preannunciato (lo annuncia anche il titolo) che il prossimo full-lenght sarà la prosecuzione andando a concludersi con una trilogia. ‘Burning Horizon’ appare quale normale (non del tutto) Power-song tipica dell’attitudine italica alla melodica Power, che la fa diversa da quella scandinava o tedesca. Due sono gli esempi importanti di questo disco per poter descrivere l’essenza profonda della band. Uno è quello riferito all’evocativa e lunga suite di 17 minuti ‘DANCING IN THE DESERT’ che gioca in senso orientaleggiante ma solo in parte, e che sa descrivere emozioni diverse, colorate di algiche quanto calde immagini. La chitarre sanno dilatare le essenze sonore con respiri espansi, e però usano anche riff densi, accompagnando una linea melodica ariosa, tra aperture enfatiche e cadenze  dalla ritmica variegata. E’ un brano che vuole descrivere un paesaggio dalle molteplici sensazioni, e vi riesce senza mai perdersi anche se la linea melodica non è facilmente riconoscibile quale unica unità.

L’altra è la più dura ‘WHAT YOU ARE’ che davvero fa perdere il sentiero del filo conduttore, arzigogolando con estrema raffinatezza tra elettricità frizzanti e stop improvvisi, ripartenze sornione e divagazioni  diversamente toniche. Entrambi i due songwriting risultano tanto apici  valoriali, quanto anima profonda della band, i pezzi migliori perché tracciano con successo la concezione caleidoscopica a cui sembrano anelare i compositori. Un altro brano importante è ‘BEAUTIFUL MISTAKE’ che è ancora più dura, ma la sua durezza non è mai un muro compatto, è sempre un impattare tra strisce di melodia, una bella contrapposizione che dinamizza la traccia, e tale contrapposizione si nota anche dalle escrescenze pungenti che vengono avvolte da suoni accattivanti e suadenti; in questo episodio c’è una coralità straniante, fascinosa nel suo movimento irregolare, ma la linea melodica è maggiormente riconoscibile, per quanto rimanga costante un certo mood variegato. Senza togliere nulla alle altre fantasiose elaborazioni scritte con la medesima mentalità, che appaiono comunque in grado di ammaliare, queste tre sono le migliori scritture. L’unica traccia un po’ inutile sembra quella rappresentata dalla strumentale ‘Innocence’ il cui pianoforte ripetitivo appare anche già sentito.

Le voci maschile e femminile, molto pulite e belle, eccetto che nelle poche sezioni in growl, si immergono nelle parti strumentali sempre come personaggi principali, e nonostante siano non personalissime come timbro (solo in alcuni casi molto specifici caratterizzano di più se stesse, una volta sembrando i Muse, ‘Dancing…’-1’33”, un’altra volta Jesus Christ Superstar, grazie anche al suono del riffing, ‘Whay You are’-2’21”) riescono a rendersi irresistibili. I due cantanti si antepongono spesso fra loro, andando poi insieme a doppiarsi in modo però che non risulti una linea cantata omogenea, avanzando invece con modulazioni e toni che amplificano il senso corale senza mai mischiarsi all’unisono. In particolare l’ugola femminile è paurosamente virtuosa, con una alzata di tonalità super-efficace. L’appartenenza al Power è relativa considerando l’alto tasso prog della proposta, in ogni caso la melodicità classica all’italiana esce in modo prepotente, anche grazie alle numerose parti soft.

Ciò determina una atmosfera che prende anche dalle zone meno rock del panorama musicale, come le colonne sonore della Disney, il musical, il Pop, la musica leggera o l’AoR, ma è così tutto costruito per rarefarsi o irrobustirsi, che non si cade mai nella banalità, anche se il rischio di diventare troppo dolciastri sembra essere sempre alle porte. Quando gli strumenti o il cantato stanno per cadere nella trappola dello scontato, il gruppo escogita delle trovate che mutano il punto di vista, anche piccole percezioni, magari una leggera dissonanza, o un’accentazione singola che cambia il quadro e trasporta altrove. Possiamo trovare i Dream Theater, i Rush, i Kamelot o i Leprous (ma in un pezzetto anche gli italiani 3 dreAms neVer Dreamt) come ispirazione, ma sono frazioni, suggestioni, accenni, dato che invece il modo di fare è un altro, non particolarmente avanguardistico, ma alla ricerca di idee che siano in grado di creare le immagini necessarie a fornire scene differenti. Pur frazionando molto alcune tracce, la visione d’insieme riesce perfettamente ad essere unitaria. L’atmosfera è proprio quella che fa pensare all’importanza anche dei testi, ma è tanta roba già solo la musica. E’ un’opera che vuole raccontare un viaggio ricco, riuscendoci.

Roberto Sky Latini

Rockshots Records
www.facebook.com/mindahead

Prologue
Burning Horizon
Dancing In The Desert
What You Are
The Last Tide
Beautiful Mistake
Innocence
At The Gates Of Night Part I (The Old Poet) & II (At The Gates)
At The Gates Of Night Part III (Lost In The Loop)

Kyo Calati – vocals
Sandro macelloni – vocals
Nicola D’Alessio – guitar
Guido Scibetta – guitar
Matteo Prandini – bass
Matteo ferrigno – drums