Mentalist
Earthbreaker
Il Power metal che cerca di trovare una strada diversa non ha vita facile poiché è improbabile riuscire a realizzare vere novità o a evitare passaggi tipici del genere. Spesso le ultime band moderne tendono a stare sul versante più violento e agitato per affermarsi con l’energia piuttosto che cercare vie alternative difficili da scovare. L’energia di per sé funziona bene che almeno riesce a non annoiare più di tanto; e del resto anche per apparire energici ci vuole bravura perché non basta andare a tutta velocità. E’ appunto quello che esprime positivamente questo gruppo con brani sempre in tiro lungo sequenze concitate di riff e con toni vocali urlati. La cosa è perfettamente funzionante poiché è sorretta anche da alcune idee compositive dall’ottimo spessore. Quarto full-lenght in sei anni, l’avvenenza raffinata non manca, racchiusa tutta nella cifra stilistica del Power Metal scintillante e arrembante proveniente dalla sfera già nota ma resa con il piglio giusto.
Il bell’heavy di ‘EARTHBREAKER’ è un tenace susseguirsi di guizzi accentati, tanto nei passaggi riffici quanto nelle modulazioni canore, sempre spingendo sul massimale della forma, ma la cosa si appoggia su una song dal songwriting ben congegnato con stop e riprese che variano molto la dinamica interna alla struttura, e una parte solista ficcante che svisa tagliente. Un pezzo maestoso ‘EVENT HORIZON’ che incalzando con forza descrive un piacente panorama epico. La più suadente ‘MARCH ON LEGIONNAIRE’ segue invece una scia cadenzata ma la potenza del rifframa permane compatta; il brano è comunque diversificato nel drumming per cui ci sono momenti che si alzano e spingono verso increspazioni irruenti, pur nella generale minore velocità.
Accelerazioni alla Gamma Ray nella tesa ‘MISTRESS OF PAIN’ per un assalto che cavalca con l’arma in pugno, e al contrario un assolo più melodico degli altri che amplia il paesaggio sonoro. Si fa un po’ Angra la ritmica di ‘MONKEY KING’ che tra gli episodi del lotto è quello meno serioso sia nel ritornello, sia in certi passaggi, facendosi adatto alle scorribande live in cui anche il pubblico potrà partecipare. Un po’ troppo scontata l’epica meno irruenta di ‘Millions of Heroes’ che ricorda i Manowar nella linea cantata, senza però risultare altrettanto efficaci. Altri episodi ancora si presentano del tutto normalizzati per quanto ben prodotti, come da musicisti di mestiere che sanno freddamente sistemare tutti gli ingredienti ma senza che si assaggi qualcosa di particolarmente specifico, per esempio nella standardizzata ‘Lord of the wasteland’ per quanto fatta bene e piacevole.
La modalità utilizzata ricorda le prove scritturali degli Spirits Of Fire e alcuni brani dei Lords Of Black, con inoltre l’ugola che appunto possiede qualcosa sia di Fabio Lione nei suoi massimi sforzi con le corde vocali, sia della calda attitudine roca di Ronnie Romero; è insomma facile percepire la classicità hard and heavy nella virtuosità di Lundgren. Si arriva ad un certo sforzo tecnico non del tutto naturale, ma lo pretendono le canzoni e quindi il singer non lesina gli acuti, e lo fa facendosi aiutare da sovraincisioni corali. Chitarrismi battaglieri ed enfatiche cavalcate non sono assenti, con in più assoli accesi di valido shredding. C’è da dire che gli ospiti Palotai e Le Pond non si sentono e quindi appaiono come inutili, non diventano valore aggiunto. Per quanto non si realizzi un album fuori dagli schemi, è comunque possibile riscontrare una forte dose di personalità che utilizza le cose migliori che il tipo di musica suggerisce. Vengono evitate il più possibile le banalità, anche se ci sono alcuni momenti leggermente canonici e brani minori, e si tende a fare in modo che l’adrenalina non manchi mai.
Roberto Sky Latini