Linkin Park

From Zero

A volte ci si trova a doversi scontrare con mondi che, per un motivo o per un altro, non fanno parte di noi o comunque non rientrano pienamente in ciò che accorda con il nostro background o con le nostre esperienze e convinzioni,mondi con cui comunque, in un certo qual modo, si viene a contatto e anche se si conoscono in maniera superficiale, a volte è necessario approfondire perché si dà il caso che questi mondi di confine per noi, rappresentino ciò un’altra parte vive costantemente e sente come parte di se.Questo è quanto mi è accaduto “scontrandomi” con l’universo Linkin Park: fino ad ora ero uno di quelli che li aveva ascoltati perché venivano passati in radio, perché qualche singolo mi era stato passato da qualche amico o perché in alcuni momenti ne riconoscevo delle soluzioni geniali, utili da prendere come esempio per la mia musica, ma sostanzialmente la mia conoscenza della loro discografia e della loro storia si fermava alla superficie.

Qualcosa è cambiato allora, sembrerebbe giusto chiedermi? Invece no, personalmente i Linkin Park, ancora oggi, non rappresentano la mia “tazza di tè” però qualcosa è sicuramente scattato ed è opera di Emily Armstrong, la nuova co-vocalist, chiamata ad occuparsi delle linee vocali e ad occupare il posto che una volta era di Chester Bennington: un’eredità davvero importante, un’eredità pesante come pochi possono immaginare. Il fatto che i Linkin Park, nelle figure di Mike Shinoda, Mr. Hahn e Phoenix, abbiano scelto Emily ad accompagnare il rap e le linee melodiche di Shinoda, mi ha fatto drizzare le orecchie, perché seguo lei e la sua band di provenienza, i Dead Sara, sin dagli esordi ed ho sempre adorato la sua voce e il suo modo di cantare e comunicare.

Questo mi ha portato ad avvicinarmi ad un colosso della musica alternativa contemporanea: i Linkin Park non hanno mai rappresentato solo un concetto musicale, sono sempre stati molto molto di più e per certi versi sono paragonabili a quanto fatto dai Nirvana: hanno parlato ad una generazione, hanno saputo esprimere le parole che molti silenti, loro malgrado, non potevano e non riuscivano ad esprimere, hanno dato voce ai più fragili e agli animi più irrequieti facendo sì che in qualche modo trovassero conforto in tutto quello che la band faceva e suonava, è stato come se il gruppo si fosse fuso con i propri seguaci e i seguaci si fossero fusi con la band.A distanza di sette anni e dopo aver attraversato l’inferno ed essere tornati, Shinoda e soci sono tornati e lo hanno fatto riprendendosi in mano le proprie origini: ripartendo da ZERO. Esattamente questo è il titolo del nuovo album From Zero: un titolo che oltre a voler comunicare la necessità dei vari membri di fare i conti con il proprio passato (abbastanza chiaro il riferimento alla prima incarnazione di quelli che diverranno poi i Linkin Park, Xero) e lo si può ascoltare anche dall’intro del disco, ma anche una dichiarazione della necessità di fare tabula rasa e risorgere dalle proprie ceneri.

A scanso di ogni equivoco, From Zero è un album Linkin Park al 100% e nella sua volontà di ripartire da capo, ci sono forti rimandi ai primi due album della band, quelli che li hanno consegnati alla storia per intenderci: Hybrid Theory e Meteora, ma non mancano i richiami provenienti da dischi come Minutes To Midnight e One More Light, quest ultimo rappresenta proprio quello stop alla carriera dei nostri perché è l’ultimo disco con Chester alla voce ed è anche il disco con la più chiara presenza di necessità, cui purtroppo seguirà, il tragico epilogo.Sinceramente non mi interessa, in questa sede stare a disquisire se i Linkin Park abbiano fatto bene o male a scegliere di ripartire e di farlo con una cantante donna dietro il microfono, le chiacchiere le lascio volentieri al gossip da due spicci che anima il mondo dei tabloid: il mio interesse è verso la musica e sinceramente devo dire che From Zero è una bomba, un disco che è aperto ad un ampio ventaglio di influenze ben inserite nei brani, di cui in molti casi vanno proprio a costituire l’ossatura di fondo: nei brani potrete trovare del nu metal diretto e sfrontato, del metal moderno senso stretto, così come dei bei rimandi al mondo alternative senso stretto (echi delle cose più rock dei Deftones spuntano come funghi) ma altrettanta importanza è data a tutto il mondo che gira attorno all’ hip-hop, a partire da un certo RnB di stampo mainstream (in alcuni casi mi aspettavo che Emily duettasse con Beyoncé o Rihanna) e passando a dei rimandi in formato più elettrico di quello che fu definito il Bristol sound durante gli anni ’90 e basterebbe ascoltare Overflow o la stessa Over Each Others per capire di cosa parlo.

L’album scorre via che è un piacere e questo non fa che confermare le doti compositive di Mike Shinoda e dei suoi degni compari, i quali in poco più di mezz’ora riescono a lasciare in chi ascolta la voglia continua di premere play e poi ripremerlo nuovamente e le canzoni sembrano non annoiare mai. Ora non sto dicendo che From Zero sia il disco della vita né tantomeno sto parlando di un capolavoro della storia della musica, ma è sicuramente un disco composto con estrema cognizione di causa, sapienza e conoscenza dei propri mezzi e della strumentazione utilizzata: non c’è un brano che possa essere definito brutto ma se proprio devo essere onesto, a mio giudizio i singoli che ci hanno presentato prima dell’uscita del disco, sono probabilmente le canzoni meno interessanti, rispetto a brani decisamente più belli come la già citata Overflow o la gran mazzata di Casuality o, ancora, IGYEIH, ma anche la conclusiva Good Things Go: brano in cui Emily riesce ad offrire una prestazione vocale veramente superba; intendiamoci non è che negli altri brani non dia prova di essere una gran cantate, ma forse in quest ultima canzone riesce ad essere un po’ più libera, rispetto ai “vincoli” metrici delle precedenti.In conclusione i Linkin Park sono tornati per restare e in questo album c’è un’irruenza importante, forse troppa dato che alcuni riff o parti armoniche sembrerebbero non essere state sviluppate a dovere, quasi lasciassero l’ascoltatore in sospeso verso un futuro prossimo, come se volessero lasciare sotteso qualcosa del tipo: sì, siamo tornati e di carne al fuoco ne abbiamo parecchia, adesso vi diamo un semplice assaggio, poi vedrete e ascolterete.

Ci sono brani che sono perfetti così come sono e altri invece, nonostante siano perfettamente costruiti e perfettamente calati nel mood dell’ album, sembrerebbero gridare ad una maggiore evoluzione di talune parti che potrebbero portare il pezzo ad esplodere maggiormente e ad esplorare altri lidi ed è davvero un peccato perché sono certo che sarebbero riusciti a tirare fuori qualcosa di veramente bello, offrendo alla Armstrong altre praterie su cui spostare le armonie vocali. Insomma, a parere di chi scrive, sicuramente siamo davanti ad un gran bel ritorno, capace di dire tutto in poco più di mezz’ora e tenere sempre alta l’attenzione, con Emily davvero sugli scudi, soprattutto quando lasciano la sua voce al naturale, invece di usare filtri che la tarpano un po’; quello che mi stupisce un po’, a dire il vero, è la prestazione vocale di Mike Shinoda, non tanto sulle parti melodiche quanto su quelle propriamente rap, in cui sembrerebbe non aggredire il beat appoggiandosi troppo su di esso e risultando un po’ sgonfio nella maggior parte dei casi: ora non dico che dovrebbe trasformarsi in un novello Ice Cube, però quando decide di andare in controtempo o anticipare leggermente o addirittura schiacciarlo proprio (il beat) aggiunge grinta e groove ai brani, che ne guadagnano in dinamica e in intensità.

Se non fosse per queste pecche, saremmo davanti ad un disco perfetto e anche se queste cosine non ne intaccano poi più di tanto la valenza, risulta essere un vero peccato, soprattutto alla luce di una chicca stratosferica come il lavoro di batteria operato: in From Zero è potente, groovosa all’ ennesima potenza e ficcante come non mai, senza mai strafare riempie tutto lo spazio dei brani, offrendo un incastro perfetto con le chitarre e l’elettronica: finalmente una batteria non artefatta, ultra triggerata o post-prodotta, ma con un suono gigante in grado di tirarsi dietro tutto il resto. Un lavoro spettacolare quello operato da Colin Brittain, che personalmente supera in capacità espositive il suo storico collega Rob Bourdon, il quale pur essendo praticamente perfetto durante la sua opera nel corso della carriera dei Linkin Park, non è mai stato così incisivo come Brittain, che riesce ad inserirsi in fessure temporali interessanti: prestazione veramente eccellente, così come eccellente è la prestazione generale, soprattutto nei brani più cattivi, i quali oltre a rimandare, come già detto, alla prima parte della carriera dei Nostri, prendono in prestito da Otep e In This Moment alcuni modi di giocare sui riff e alcune teatralità vocali.

Concludo dicendo che se non si ascolta il tutto con il pregiudizio, From Zero non farà assolutamente rimpiangere i Linkin Park, soprattutto ai fan affezionati alla coppia d’assi della prima parte della carriera e potrebbe tranquillamente avvicinare altri nuovi fan alla band, perché nonostante per il sottoscritto restino eccessivamente commerciali, pertanto poco propensi ad approfondire il lato più duro e ostico che potrebbe offrire loro una varianza di sonorità interessante, sia a livello musicale sia soprattutto a livello vocale, hanno fatto davvero un ottimo lavoro: rapido, conciso e sostanzioso.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

From Zero (Intro)
The Emptiness Machine
Cut the Bridge
Heavy is the Crown
Over Each Other
Casualty
Overflow
Two Faced
Stained
IGYEH
Good Things Go

Emily Armstrong – vocals
Colin Brittain – drums
Brad Delson – guitar
Dave “Phoenix” Farrell – bass
Joe Hahn – programming
Mike Shinoda – vocals