La Linea Del Pane

Utopia di un’autopsia

Primo album in studio per la band milanese “La Linea del Pane” che esce con questo nuovissimo disco, suonato a tre elementi, che si colloca tra il pop, il rock, il cantautorale con qualche leggero richiamo alla musica progressive, soprattutto per quanto riguarda le linee tracciate dal basso.

L’album si apre con “Apologia della fine”, un brano caratterizzato dalla chitarra elettrica che suona un riff lento e quasi dissonante come motivo conduttore della traccia. Testo impegnato su atmosfere di ballata cantautorale, rinforzata e impreziosita dalla chitarra elettrica e dal basso. Breve intermezzo di bouzouki per introdurre “Urlo di Ismaele”, una canzone di impianto musicale più rock della precedente e di stampo cantautorale nel testo ancora una volta impegnato.Un pezzo ben suonato e gradevole. “Tempo da non perdere” è una canzone d’autore che inizia con la chitarra acustica e subito dopo comincia il canto. Anche in questo caso si parte in forma di ballata d’autore dalle liriche intense per poi essere disturbati dall’arrivo improvviso della chitarra elettrica. Il brano scorre via lento e piacevole, con inflessioni vocali particolari che a volte mi ricordano l’incedere del primo Alberto Fortis. “Favola non violenta – Indovinello n.1” racconta una storia delicata e struggente. Chitarra elettrica e sofisticata linea di basso. Una canzone breve e significativa. “Specchio” è un brano cantautorale ma con un impianto musicale moderno e molto trascinante.

La chitarra elettrica è spesso distorta, la batteria molto intensa e il basso sostiene il canto con un sapiente contrappunto. Alti e bassi si rincorrono e si susseguono. “Ambrosia” è una traccia molto lunga, non di certo radiofonica, di oltre sette minuti. La canzone parte lenta con chitarra arpeggiata e voce in primo piano. Fino a questo momento è anche il brano cantato meglio nell’album e sicuramente l’innesto del violino a contrappuntare il canto aggiunge molto alla canzone che se ne giova innegabilmente.Un grosso plauso al violino di Martino Pellegrini. Forse l’eccessivo minimalismo di alcuni arrangiamenti nei brani precedenti li penalizza un tantino dal punto di vista dell’impatto immediato sull’ascoltatore. L’innesto di altri strumenti musicali, come in questo caso il violino o come potrebbero essere dei fiati, certamente valorizzerebbe la struttura melodica delle canzoni, dandole quel qualcosa in più. Senza dubbio il brano migliore del disco fino a questo momento. Di grande livello. Ancora un breve intermezzo di bouzouki che introduce il brano successivo “Occhi di vetro” dall’impianto musicale inusuale, cadenzato dal basso.

Una ballata cantautorale nella tradizione della canzone d’autore con molta enfasi sul testo. “Gli alberi di Sophie” inizia delicata, con chitarra acustica e basso, linea melodica orecchiabile e gradevole. Scorre liscia, minimalista, malinconica per poi diventare più rock nella parte finale dove la chitarra si fa distorta e le ritmiche più pressanti. “Favola non violenta – Indovinello n.2” è ancora una ballata cantautorale dalle liriche impegnate che parte dolce e struggente per farsi più potente e distorta nella parte finale. Il disco si chiude con due brani più lunghi e musicalmente complessi “Nekròpolis” e “Solstizio d’inverno”.Il primo ha un impianto melodico che può ricordare la musica progressive dei tardi anni settanta, soprattutto nella linea del basso, che si dipana sincopata e cadenzata lungo tutto il brano. Azzeccata anche la parte centrale, con i suoi repentini cambi di ritmo e le sue percussioni. Brano gradevole con parecchie parti musicali differenti e finale a sorpresa con un ottimo arpeggio di chitarra acustica accompagnata dal violino che impreziosisce ancora una volta il brano. Il secondo è una canzone pop cantautorale dolce e struggente, anche in questo caso con chitarra acustica e basso a sostenere la linea melodica. Il brano si dipana tra parti lente e veloci, tra strofe e ritornelli fino all’arrivo di un’armonica e del violino nella convulsa parte finale. Da notare che tutti i tre brani in cui troviamo il violino tra gli arrangiamenti hanno un qualcosa in più di gradevole.

Dopo dieci minuti dell’ultimo brano troviamo una ghost track che riprende “Tempo da non perdere” in versione chitarra acustica e voce, che conclude malinconicamente questo disco allo stesso tempo minimalista ed estroso, pieno di rimpianti e di riflessioni, che guarda il presente con una certa disillusione e fin troppo realismo. Un album interessante, spesso malinconico e minimalista, con ripetuti richiami e riferimenti alla decadenza del mondo moderno, argomento trattato spesso in questi ultimi anni dagli artisti più diversi che vanno da J-Ax con “Deca Dance” del 2009 all’inarrivabile Ivano Fossati nell’album “Decadancing” del 2011, anche impegnato dal punto di vista artistico soprattutto per quanto riguarda i testi sempre molto precisi e profondi.

Brani migliori dell’album “Ambrosia” per la sua splendida dolcezza, la linea melodica e il violino, “Nekròpolis” per il suo leggero volo nel progressive con il suo basso e i suoi cambi di ritmo e, infine, “Solstizio d’inverno” per la sua disillusa malinconia e la sua dolce bellezza.

La ricercatezza dei testi può farci pensare all’evoluzione stilistica degli ultimi tre album dei Marlene Kuntz, che hanno molto rilassato le ruvidità del rock istintivo che li contraddistingueva per passare a dischi più smussati musicalmente ma con molta più attenzione ai contenuti delle liriche. Una bella sorpresa nel panorama della musica italiana, spesso troppo commerciale e poco attenta ai contenuti. L’eccessivo minimalismo degli arrangiamenti a volte penalizza alcuni brani che potrebbero essere più incisivi. Da ascoltare prestando molta attenzione ai testi delle canzoni.

Pierluigi Daglio

Apologia della fine
Urlo di Ismaele
Tempo da non perdere
Favola non violenta –  Indovinello n.1
Specchio
Ambrosia
Occhi di vetro
Gli alberi di Sophie
Favola non violenta – Indovinello n.2
Nekròpolis
Solstizio d’inverno

Teo Manzo  – chitarre, bouzouki, armoniche, voce
Marco Citroni – basso
Kevin Every – batteria