King’s X

Three Sides of One

Tredicesimo album per la band statunitense, ma l’ultimo prima di questo è stato ‘XV’ che è di ben quattordici anni fa. Il gruppo si fa perdonare l’attesa dato che il ritorno alle nostre orecchie è di alta qualità. Un rock a tratti progressive, altre volte si gigioneggia con melodie più semplici e dirette, si stempera la vena più dura per poi ricompattarla, il tutto sottolineando principalmente il senso ampio ed includente di un rockeggiare aperto alle influenze antiche. Tanta ispirazione che mette insieme forme sia sessantiane che settantiane, non intersecandole sempre dentro le singole canzoni, ma realizzando tracce una volta di una sonorità, una volta dell’altra. E comunque in questa attitudine si inserisce una modernità attuale che a volte sembra Alternative.Il riff hard alla Led Zeppelin di ‘LET IT RAIN’ si intreccia con una linea melodica calda che enfatizza l’avvolgenza atmosferica generale, per poi lasciare spazio ad un assolo acido.

Molto moderno invece il rifframa di ‘Flood, pt. 1’ che fa da netto contraltare al cantato morbido dalla datata essenza, esaltando l’ecletticità del gruppo che non costruisce le cose come uno se le aspetta. Molto particolare l’espressività romantica blues-soul di ‘NOTHING BUT THE TRUTH’ che nel ritornello ripetitivo si fa leggermente ironica, ma molto accattivante, e il finale è uno splendido assolo di chitarra tipico delle lunghe performance degli anni settanta, che dal vivo tendevano ad ampliarsi a dismisura, qui da studio durando fino a due minuti e quindici secondi . Anche il rock imbastardito di funky, ‘GIVE IT UP’, che ci ricorda gli americani ‘Mother’s Finest’, riesce ad essere attraente grazie ad una iridescenza frizzantissima, piena di grinta ed accentazioni. Le sonorità morbide sono molteplici e sanno tanto di anni ’60, un po’ alla Beatles, un po’ alla Simon & Garfunkel.ALL GOD’S CHILDREN’ passa da un riff Sabbathiano a sonorità Beatlesiane. La fresca dinamicità di ‘FESTIVAL’ è quel tocco elegante che sa usare la ritmica e gli intrecci vocali con fluida maturità, facendoti battere piedi e mani per tenere il tempo.

Al di là di alcuni virtuosismi inappuntabili, l’idea compositiva che emerge da questo disco non è basato sull’essere strumentisti da assolo, preferendo divertirsi con la struttura dei pezzi e sulle caratterizzazioni vocali. Molte parti appaiono giocose, estroverse, fuori dalle righe. Ogni canzone ti prende, e soprattutto dopo vari ascolti, la musica quando è dura ti avvolge, e quando è soffice ti culla, ondeggiandoti intorno e ammaliandoti senza troppe elucubrazioni cerebrali. Le tante escursioni complesse del passato qui non esistono, è la semplicità il dato di fatto, ma la cura delle armonie è così efficace che non sembra utile fare aggiunte; il risultato qualitativo è stato ottimamente raggiunto. Le forze accese sono toniche ma non esuberanti anche se gli accordi di chitarra sono registrati addensandone il suono e forzando la mano, invece quelle morbide posseggono una tale delicatezza da creare ambientazioni sognanti e profumate. Non è musica normale, essa è piena di citazioni e rimandi ma personalissima nel suo reinventarsi; nessuna velleità di originalità a tutti i costi, ma tanta tanta classe con un pizzico di sperimentazione, perché, sottolineo, è un lavoro un po’ fuori dalle righe. E’ una bellezza che non stanca, uno di quei lavori che entra in quell’ascoltatore che vuole respirare tradizione e novità al tempo stesso. 

Roberto Sky Latini

Let It Rain
Flood Pt. 1
Nothing But The Truth
Give It Up
All God’s Children
Take The Time
Festival
Swipe Up
Holidays
Watcher
She Called Me Home
Every Everywhere

Dug Pinnick – vocals / bass
Ty Tabor – guitars / vocals
Jerry Gaskill – drums / vocals