King Zog
Second Dawn
Certo! è innegabile che i Black Sabbath siano stati i creatori di un genere magari pure ignari di averlo fatto, e che i giornalisti hanno voluto definire questa creazione per proprio comodo chiamandoli Doom o stoner o tutti e due messi insieme , ma è anche un dato di fatto che i Black Sabbath ne siano i padri indiscussi.
Dall’Australia arriva un altra band interessante I King Zog che sono dediti al doom più classico possibile loro hanno già pubblicato un paio di album e questo che stiamo recensendo è appunto il più recente essendo stato pubblicato nel mese di Luglio. In questi due dischi hanno dimostrato di saper portare in auge questo genere che certo non di facile fruizione ai più ma che di certo arriva nelle menti della maggio parte dei metallari settantiani e ottantiani ma che potrebbe anche raggiungere molti altri fan in fondo si tratta sempre di heavy metal giusto?
Per questo secondo album i King Zog hanno pensato di raccontare una storia che si dipanasse nell’arco del disco che racconta la storia di un immaginario culto della morte nel deserto degli UFO negli anni ’70, guidato da una donna carismatica e psicotica di nome Aruna. Aruna convince i suoi seguaci, devastati dalla fame e dalle droghe, che sfuggiranno all’imminente olocausto nucleare della Terra imbarcandosi su un’astronave diretta verso un pianeta utopico. Il protagonista della canzone, un impiegato disilluso, viene trascinato nella rete di Aruna .Questo soggetto aggiunge un tocco di psichedelia che abbinato alla doomania della band crea un suono “antico” e ancestrale.
I ritmi cadenzati sono notevoli nella loro musica. Credo che il basso forte e distorto di Martin Gonzalez, con un’influenza molto Motörhead sul suo suono, sia la linea guida principale. Accanto a lui, i riff di Dan Durack e Connor Pitts-West recuperano lo spirito di un modo di suonare Heavy Metal in puro stile Black Sabbath, che va dritto al punto.
Nei suoi 45 minuti di durata Second Dawn ci offre il meglio dei King Zog pieni di queste sonorità che anche in Italia ha anche le sue band come i D’Aul molto avvicinabili agli australiani. La canzoni hanno la giusta durata che di solito hanno le canzoni di questo genere e quindi incontriamo Rat King di circa sette minuti e la conclusiva Title track che potremmo considerare come una suite durando più o meno undici minuti e più.
È sicuramente un disco che attira e mantiene viva l’attenzione su quello che stiamo ascoltando e questo secondo disco dei canguri non conoscendo la loro esistenza mi ha dato la possibilità di aggiungere un’altra significativa band all’enorme calderone dell’heavy metal.
Stefano Bonelli