Judas Priest

Defenders of the Faith

I Judas Priest, creatori dell’Heavy Metal nel 1976, a dieci anni dall’esordio discografico, tirano fuori il 4 gennaio 1984 il nono full-lenght, un capolavoro, il disco che rientra probabilmente fra i dieci album da portare ad esempio per chi vuole sapere cosa sia l’heavy classico. Ormai finita la NWOBHM, con questa nuova pubblicazione viene messo un sigillo definitivo sul genere heavy, che spiega al meglio senza compromessi, come si debba strutturare tale sound.

Nella loro evoluzione innovativa, pur restando dentro lo stesso alveo di genere, con l’album ‘Screaming for Vengeance’ del 1982 i Judas migliorarono le proprie coordinate in maniera più moderna e diretta, senza perdere nulla delle velleità di raffinatezza e ricercatezza compositiva, con un songwriting molto personale, e ‘Defenders…’ deriva stilisticamente in modo diretto quel disco, solo lo porta a perfezione, lo cristallizza nella sua forma più potente e riuscita. ‘Screaming…’ fece uno scatto di originalità rispetto a ‘Point of Entry’ e agli altri dischi precedenti ma è in ‘Defenders…’ che tutto è portato alle estreme conseguenze artistiche diventando emblema e simbolo. Le strutture sono perfezionate a tal punto che le canzoni non potrebbero essere migliorate coverizzandole, come si potrebbe pensare di migliorare ‘The Sentinel’ o ‘Rock hard, ride free’?

Il lato A del disco è il migliore e il più geniale, con brani tutti da voto dieci. ‘FREEWHEEL BURNING’ scatena tutta la potenza power che già la band aveva espresso nel proprio passato (‘Tyrant; ‘Exciter’;Hell bent for Leather’) ma riesce ancora una volta ad essere se stessa senza ripetersi, con questa canzone che mette insieme una linea vocale grintosa insieme ad un riffing compatto e allo stesso tempo dinamicamente variegato, con ulteriori inserti di chitarra che ampliano la resa sonora. Lo si può capire solo a posteriori, ma se si sta attenti, si percepisce qui dentro ciò che poi sarà il brano ‘Painkiller’, sia per una certa efferatezza del cantato ma soprattutto per la parte solista che utilizza sezioni saettanti con fischi ed elementi non continuativi che però s’intersecano attivamente in modo funzionante similmente a come avviene in ‘Painkiller’, e poi c’è la parte melodica, che però in maniera meno orecchiabile è presente anche nella song del 1990 (dal minuto 3.00). Il lineare ‘JAWBREAKER’ è un tipico episodio anch’esso già decodificato in passato (tipo ‘Starbreaker’ nel 1977), veloce, non velocissimo, ma comunque serrato dove la riffica conta; un vero brano da rocker duro in cui l’anima rocciosa è pura e limpida. ‘ROCK HARD, RIDE FREE’ appare quale anthem ficcante, che nella sua ritmica cadenzata porta il pubblico a partecipare attivamente col sudore del corpo e con voce da coro; potenza rock dove pur essendoci una melodia sinuosa non si manca di colpire con tonica decisione. Poi arriva il vero capolavoro nel capolavoro, momento da dieci e lode che è ‘THE SENTINEL’ dove l’epicità è alta e la vocazione lirica si esprime con enfatica teatralità. Ancora una volta si mette in pratica la capacità judaspiestiana di avere riff potenti e compatti che però sanno variare sul tema e giocare con le potenzialità dei giri creati. E il ponte centrale è in grado di creare un input suggestivo dal carattere marziale pur essendo più morbido del resto della traccia, prima di arrivare al magistrale finale in acuto della voce di Halford che incalza con estremo virtuosismo. Come nella migliore arte musicale la modalità compositiva non è semplicistica; c’è il riff sotto, con l’assolo sopra che non segue l’andamento del riffing, due parti differenti accostate con efficacia che si collegano solo in due punti per poi evolvere ulteriormente, stavolta insieme. E dopo l’assolo c’è appunto una sezione cantata che appare sospesa, accompagnata dal sintetizzatore (anticipo di un uso che avverrà su ‘Turbo’), la quale serve a trascinare in una dimensione altra, per aumentare il magnetismo prima del ritorno al ritornello che diventa un apice vibrante di pathos esplosivo, inesorabile nella sua acredine vocale. E’ un insegnamento alle generazioni successive per capire cosa sia davvero artisticamente valido per risultare spietati; il testo è davvero cantato con la verve giusta e la violenza adeguata a renderlo verace, nessun cantato in growl, messo a confronto, potrebbe mai minarne la potenza o aumentarne l’ineluttabilità, siamo già al massimo dell’avvertimento omicida: “Giurato alla vendetta, condannato all’inferno! Non tentate la lama, tutti temono la sentinella”.

Il fatto che il lato B sia leggermente in flessione non deve far pensare che sia tanto minore. La cavalcata dell’album procede con la stessa determinazione a colpire senza sconti. ‘Love bites’ è uno stupendo inno di cattiveria e decadentismo, che in qualche modo anticipa la modernità di un molto successivo Marylin Manson (il quale in una intervista disse che Rob Halford era un suo idolo, ma non poteva essere altrimenti: è ciò che dicono più o meno tutti i metallari degli anni ottanta). Brano molto incentrato sul gioco riffico e sugli effetti sonori, è un muro di intensa libido, potremmo dire dall’afflato piuttosto sadomaso. Il power di ‘Eat Me alive’ corre efferato, e in questo disco prende il ruolo che sul precedente ‘Screaming…’ era coperto da ‘Riding on the wind’, forse quello un po’ più veemente, ma questo vive la stessa voglia di essere un pezzo mordace nella sua scorrevolezza arrembante. Appare ballabile ‘Some Heads are gonna roll’ che è un pezzo da singolo, quale infatti fu, ma attenzione, la sua orecchiabilità non gli permette di essere dolce, esso è infatti aggressivo quel tanto che basta per essere gustato come un bel tocco di Heavy Metal d’annata, perfetto nella sua estetica e nella propria densità rockettara. Il fatto che non sia stata scritta dai componenti dei Judas, ma bensì da Bob Halligan Jr., americano che aveva già partecipato in ‘Screaming…’ per il brano ‘Take these Chains’, non deve trarci in inganno, è stata composta appositamente per l’album, quindi pensata per il disco, e i Judas la rendono del tutta loro con un arrangiamento che rispetta in maniera totale l’essenza della band, facendola propria come era già successo per cover del passato da loro trasformate in maniera superba. In questi casi, anche con canzoni non loro, i Judas hanno sempre avuto il tocco artistico di qualità.  Abbiamo anche un bella ballata, confermando la lontananza da derive pop alla Europe o alla Bon Jovi, prediligendo il senso prettamente metal della canzone soft, facendo venire in mente i precedenti Krokus o i successivi Savatage, ma nello stile già inventato proprio dai Judas. ‘Night comes down’ in realtà fa il paio con ‘Fever’ di ‘Screamin…’ ma in maniera, se possibile, migliore.

Da considerare a parte è il finale del lato B che vede due tracce forse musicalmente non paragonabili valorialmente a tutte le altre ma dal significato iconico importante, segno della relazione metallara fra il pubblico e la band. Si evidenzia anche in questa dimensione la bravura da artista. In meno di 4 minuti in totale, ‘Heavy Duty’ e la title-track ‘Defenders of the Faith’ vanno considerate come un’unica entità, in quanto propongono una situazione anthemica da giocarsi coi fan ai concerti, per renderli partecipi dello spettacolo e per inneggiare all’essere metal kids. La modalità concettuale diverrà poi appannaggio dei Manowar che si faranno paladini del “vero” metal, ma nasce con questo album grazie ai Judas che diventano i “Difensori della fede”, la fede metallica. E non è un caso se oggi il singer Halford viene chiamato il “Metal God”, che l’affiliazione in realtà era già cominciata nel 1980 con i brani “Metal Gods” e “United”. In questo caso si tratta di due tracce minimali, molto basilari, pensate su un ritmo non veloce, tipo ‘Denim and Leather’ dei Saxon del 1981, e basate su riffoni caldi in cui il cantato si fa grasso e corale, aggiungendo pure acuti lancinanti. Le parole non sono equivocabili: “Ti faremo fare rock finché la tua fame di metallo sarà soddisfatta. Uniamo tutti le nostre forze! Regniamo con il pugno di ferro e proviamo a tutto il mondo che il metal comanda la terra! Abbiamo un dovere pesante, quindi forza, diciamolo al mondo: Siamo i Difensori della Fede!”

Questa opera è arte pura, l’apice artistico della carriera della band, molto più dell’album ‘Painkiller’ dove abbiamo sì una title-track da dieci e lode (una delle dieci migliori composizioni del gruppo), ma  per il resto non si tratta di una perfezione stilistica quale invece si trova raggiunta definitivamente in questo full-lenght. In ‘Defenders…’ troviamo un songwriting ricco e gestito con sicura autodeterminazione. Lo spirito è prepotentemente rock, l’heavy metal nasce in effetti come rock a tutti gli effetti, è la vera vena del rocker incallito, quella che i Judas hanno sempre trasposto versandolo nel rock duro, e in questo modo trovando la sua massima espressione. Inoltre in questi brani troviamo un filo di epicità che lega tutte le tracce anche se ‘The Sentinel’ è la più esplicita in tal senso. Questa epicità si trova anche nei brani meno duri, perché è la modalità esecutiva che la sottolinea, soprattutto sono le modulazioni del cantante che la esaltano, questo è infatti anche il disco dove l’ugola di Rob Halford, che già non aveva nulla da dimostrare visto cosa aveva regalato in dieci anni,  rende chiaro senza alcun dubbio, quanto possa essere cattiva e rude una voce pulita, quanto possa essere teatrale e provocatoria. Il timbro roco e al contempo brillante, viene giocato spesso cambiando nota nel finale di frase, aumentandone la rotondità o la granulosità a seconda degli attimi recitativi, il cui canto non perde mai lucidità di rappresentazione umorale. Il cantato è un susseguirsi di tocchi di risonanza, mai semplificato, sempre accentato, e di queste impostazioni liriche Halford è maestro (magistrale era stata la prova di ‘You’ve got another Thing Comin’ su ‘Screaming…’). La cattiveria vocale in questo disco è continuativa, non diventa mai innocua come certo growling intasante di certe canzoni Black-metal. Senza contare che gli acuti performati nelle varie canzoni sono strabilianti e messi nei posti che più giusti non si può. Poi abbiamo due asce che hanno realizzato assoli senza difetti, generalmente divisi in parte acida e parte melodica stupendamente integrate, ma la perfezione in tal senso era già stata trovata nei dischi precedenti.

Siamo di fronte a pura NWOBHM! ‘Defenders…’ è l’ultimo colpo di coda del movimento britannico ma è anche il migliore che tale movimento abbia mai realizzato, decretandone la sublime maestosità quando ormai il movimento si credeva fosse già deceduto. Le song più dure non presentano traccia di Thrash sebbene a posteriori Halford dichiarerà che le frenetiche chitarre dei Judas fossero similari al thrash anche prima della nascita del genere; ma del resto il nuovo genere aveva solo 5 mesi di vita (dalla data di pubblicazione di ‘Kill’em all’ dei Metallica) e non aveva ancora influenzato in maniera trasversale il panorama metallico. In realtà nel 1984 c’è anche ‘Powerslave’ degli Iron Maiden, ma possiamo dire che pur con una parziale conservazione del sound NWOBHM, esso è già proiettato verso altre forme metal più elaborate e meno pure, quindi è ‘Defenders…’ la vera entità finale del puro Heavy Metal creato dall’ondata britannica nata nel 1979. Dopo questo lavoro roboante la band abbandonerà la strada per andare verso una certa commercializzazione con ‘Turbo’ nel 1986, che non li ferirà perché il disco avrà egualmente successo, anche se la band rimane sempre delusa perché si aspetta ogni volta il successo di vendite degli Iron Maiden, cosa che non avviene ma non certo per demerito. Ad ogni modo ‘Turbo’ sarà solo una parentesi perché i musicisti torneranno di nuovo al vecchio sound, e a quel punto tutto è fatto, stigmatizzato. E anzi, colpiranno ancora senza pietà pur con una fase discussa e discutibile senza Halford, ma è un’altra storia, e oggi celebriamo il quarantennale di un album che è centrale nella storia del metallo. E osannando questo disco poderoso, anche noi fruitori diventiamo espliciti “Difensori della Fede”.

Roberto Sky Latini

Side A
Freewheel burning
Jawbreaker
Rock hard, ride free
The Sentinel

Side B
Love bites
Eat Me alive
Some heads are gonna roll
Night comes down
Heavy Duty
Defenders of the Faith

Rob Halford – vocals
Glenn Tipton – guitar
K.K. Downing – guitar
Ian Hill – bass
Dave Holland – drums