Joe Bonamassa
Breakthrough
E’ dal 2000 che il chitarrista/cantante americano pubblica musica, e sappiamo tutti che la sua attitudine è decisamente blues, ma il suo esserlo non è scevro di anima rock, e del resto coi Black Country Communion ha composto anche hard-rock. Oggi, con questo nuovo disco, tale anima appare ancor più rockeggiante, pur permanendo nell’alveo sinuoso del blues. Si ascolta uno dei suoi prodotti migliori grazie al forte appeal e ad una seria profondità emotiva, con tutti i requisiti tecnici giusti, rivelandosi tonico, pulito, riccamente arrangiato e pieno di feeling. L’americanità è densa, ma non mancano le carature inglesi nella flemma di certi momenti o nello spirito di alcuni istanti.Quattro sono le esternazioni più rolleggianti con la title-track ‘BREAKTHROUGH’; ‘TRIGGER FINGER’; ‘I’ll TAKE THE BLAME’ e ‘YOU DON’T HOW ME’, magnifici quadri di morbida durezza, accattivanti e atte al dondolamento delle teste. La prima scorre calda, la seconda possiede un bel groove ritmato, il terzo gioca con il classico honky-tonk d’annata senza sfigurare neanche per un momento rispetto a quello che è la storia del genere e il quarto si velocizza in un rock ballabile che in qualche modo ricorda certe canzoni rock mainstream degli anni ottanta, ma sempre con una ottica più seriosa.
Frizzante e leggiadra ‘STILL WALKING WITH ME’ fa saltellare l’ascoltatore, punteggiata di suoni chiari essa è tradizionale ma in quella modalità di cui un vero bluesman o un vero rocker non può fare a meno di apprezzare. Intensa la chitarra solista di ‘PAIN’S ON ME’ ma intensa anche la voce per un episodio ancora una volta tipicissimo del genere, che però avvolge in maniera profonda e lasciandoci godere di un alto e sensibile talento. Due sono le ballate, entrambe valoriali, una abbandona l’aria blues per dare una pennellata country con ‘Shake this Ground’, ma è ‘BROKEN RECORD’ ad avere quel tocco in più, soprattutto nella sua linea cantata dove Joe riesce a imprimere un sentimento cullante e rassicurante a cui lasciarsi andare, e in qualche modo possiamo sentire in questa song certe modalità che risalgono ai Procol Harum. Tutte le tracce regalano beltà e soddisfazione, mai una caduta di stile, mai una ridondanza, mai una perdita di vibrazione.
Gli arrangiamenti sono ricche vesti per pezzi eleganti e ispirati in modo da non perdere mai il senso della loro essenza; infatti è divertente attenzionare tutti i suoni e le sfumature andando oltre la linea musicale principale. Elemento sempre rinfrescante è la presenza dei gustosi cori femminili che ampliano il mood accattivante del songwriting già di per sè funzionante. Gli assoli raffinati non prendono mai eccessivo sopravvento, eppure sono sempre presenti ben oltre l’assolo centrale, visti i tanti inserti che si infilano tra le strofe o tra i passaggi sonori.
E se la sei-corde non è che la solita certezza incrollabile, per l’ugola dobbiamo dire che stavolta il gradino è più alto, con una gradita capacità di donare pathos e intensità sia nelle parti soft che in quelle toste, con una continuità tra i brani che è maggiore rispetto a cose del passato. Tra lavori negli anni non sempre massimizzati nella qualità, dobbiamo comunque prendere atto che la quantità di scrittura prodotta nel tempo non lo fa apparire riposato sugli allori, ma ancora il musicista inietta energia e passione nella propria espressività. Non è insomma un album di routine e di mestiere, ma una scelta dal carattere deciso che sembra raffigurare un momento artisticamente ispirato dell’artista. Così abbiamo tra le orecchie qualcosa che supera in pregnanza diversi full-lenght del suo stesso passato.
Roberto Sky Latini