Intervista con i Voodoo Highway
Voodoo Highway
Articolo a cura di Alessandro Secco
Ciao, intanto piacere e grazie per essere venuto, Filippo, e per aver dedicato un po’ di tempo al pubblico di Tempi Duri.
Ciao, e grazie a voi.
Come va, tutto bene?
Sì, certo, non mi lamento, a parte l’umidità di queste zone!
In che zona sei adesso?
Allora, noi siamo di Ferrara, però qui bisogna specificare… il tastierista è di Suzzara, vicino a Mantova, il chitarrista è di Verona e gli altri tre sono di Ferrara. Però originariamente eravamo tutti di qui.
Volevamo chiederti quali sono le radici della band. Quando avete iniziato a fare musica assieme?
Noi siamo nati 15 anni fa, ridendo e scherzando, forse anche di più, perché erano gli inizi del 2010. La cosa era partita… te lo dico in modo spassionato: avevo un’altra band, ma mi ero discretamente stufato perché c’erano troppe pretese di una professionalità un po’ paventata che non mi apparteneva, soprattutto all’epoca.
Ho visto l’ex chitarrista, Matteo Bizzarri, e l’attuale cantante, Federico Di Marco, che si erano messi a suonare così, per conto loro. Ti dico la verità: non davo una lira a nessuno dei due. Mi sono unito alla band perché il batterista mi sembrava bravo. Poi alla fine sono rimasto proprio con loro due ed è nata così, in maniera goliardica: ci si trovava la sera più per fare i balordi che per suonare.
Poi, tra una cosa e l’altra, scrivi un pezzo, poi due, poi tre… spinti anche molto, secondo me, dall’entusiasmo del vecchio chitarrista Matteo Bizzarri. A quel punto ho pensato: “Ma sai che alla fine…?”. E poi le cose sono andate di corsa: nel giro di meno di un anno dalla formazione abbiamo registrato il primo disco, che poi è uscito.
Dopo abbiamo cercato di rendere la cosa almeno all’apparenza seria. Ma le dinamiche interne sono rimaste sempre quelle: un po’ da balordi.
Spesso le cose più belle nascono così, con semplicità, senza pretese, solo con la voglia di divertirsi, no?
Sì, quello era il piano. Eravamo molto annoiati, era periodo universitario, non avevi pensieri legati al lavoro o alle responsabilità dell’età adulta. Era proprio una situazione cazzara. Tant’è che i primi tempi erano parodistici.
Anche a riascoltare i live di allora… mi chiedo ancora come facesse la gente a venire a vederci. Parlo di 15 anni fa: poi siamo migliorati, ma allora era davvero roba da “Armata Brancaleone”.
Sette anni dopo l’ultimo disco. Perché è passato così tanto tempo prima di uscire con Made in Kachot?
Nel 2017/2018 avevamo registrato il terzo album e avevamo cambiato un po’ la formazione. Però alcuni episodi nefasti nella mia vita familiare… Io sono sempre stato quello con l’animo organizzatore, ma mi sono capitate un po’ di sfighe, e non ero al top. Aggiungici che devi dedicarti a situazioni nuove, a dinamiche diverse… Io tiravo meno, poi anche il cantante e il batterista dell’epoca. Abbiamo quindi detto “bona”. Il piano era scioglierci. Abbiamo fatto il concerto d’addio che ci avevano chiesto — il RockaFE, il festival di Ferrara dove esordimmo nel 2010 — ma non volevamo neanche farlo… Negli anni il festival continuava a chiederci di suonare, forse senza capire che eravamo sciolti. Abbiamo fatto un’altra data 2-3 anni fa, così, per suonare insieme senza piani. Poi di nuovo ci hanno richiesto di tornare, sempre loro. Se non fosse stato per il RockaFE non ci saremmo ritrovati.
Così abbiamo accettato, e visto che io e il cantante abbiamo uno studio di registrazione a Ferrara abbiamo deciso di registrarne l’audio, come epitaffio, ultima testimonianza, e poi chiudere. Suoniamo dopo 8 anni, ci divertiamo, la gente ci chiede perché non continuiamo… Noi dicevamo che non ci prendevamo sul serio, ma ascoltando il live abbiamo pensato: “Non facciamo poi così schifo!”. Avevamo anche due o tre canzoni nuove che avevamo scritto io, il tastierista e il chitarrista, e abbiamo deciso di rimetterci sotto. Crisi di mezza età superata. Io sono il più vecchio, ho 38 anni; gli altri stanno tra i 30 e i 35. Abbiamo detto: “Adesso o mai più”. Live carino, ci siamo divertiti, avevamo qualche pezzo convincente, e allora perché no? Senza grandi piani commerciali — tanto qui non è che si venda molto!
Eh sì, anche col genere, in Italia non è facile. Però dal disco si capisce che vi stavate divertendo!
Sì, assolutamente. A parte la stanchezza… Una volta facevo più scena sul palco; adesso, se faccio quei due o tre passi di troppo, devo chiamare il 118…
“Made in Kachot”: da dove viene questo nome così particolare?
Tutto nasce 15 anni fa. Abbiamo questo studio di registrazione che è anche sala prove. Io e il cantante, dopo un turno di prove di un gruppo — non ricordo quale, sono passati 15 anni — troviamo dietro un amplificatore, un vecchio combo scrauso, una mezza caciotta. Letteralmente un formaggio.
Ferrara è un posto pieno di matti, e quando trovi una mezza caciotta dietro un ampli rimani folgorato. Da lì abbiamo iniziato a usare “mezza caciotta” per indicare tutto ciò che era raffazzonato, cioè tutto ciò che facevamo noi: ci siamo sempre definiti dei caciottari.
Abbiamo fatto quindi questo tributo/parodia a Made in Japan, dato che abbiamo sempre avuto una forte propensione per i Deep Purple, cosa che si sente anche nel suono.
E poi, per puro caso, abbiamo scoperto che “kachot” scritto con la K significa “sofferenza” in hindi.
C’è anche un collegamento ulteriore: la sala prove Sonica è molto in voga in India, e quindi eravamo bersagliati di chiamate dall’India. Tutto collegato: caciotta, Kachot, Voodoo Highway.
Il live volevamo farlo così, con un nome nato dal formaggio e dall’India. Il disco nuovo invece sarà più serio.
Il live lo avete registrato al RockaFE il 2 giugno. Quali sensazioni avete provato mentre suonavate?
Eravamo incredibilmente carichi. “Ultima volta: facciamola, e facciamola bene”. Noi abbiamo sempre vissuto la band come una cosa vera, genuina, e siamo rimasti in amicizia con tutti, sia l’attuale formazione sia i vecchi membri. C’è sempre stato questo fondo di amicizia che ha tenuto in piedi la baracca. Non c’è quel clima da professionisti musoni; siamo “seri ma non seriosi”. Quando c’è da lavorare, lavoriamo bene, ma se manca il divertimento tra di noi cade tutto. Quella sera eravamo a casa — due chilometri da Ferrara — c’erano molte persone venute apposta a vederci, tanti amici, gente anche da altri paesi. Vedi facce amiche nel pubblico, ti trovi bene coi compagni: la sensazione è positiva.
Tra amici, conoscenti, qualche malcapitato che si considera un fan… si crea un’atmosfera piacevole. E anche la band di apertura erano nostri amici: un revival dei vecchi tempi. Come dicono a Bologna, una gran balotta. Io da ferrarese non lo uso, ma il bolognese è più internazionale del ferrarese, quindi lo dico.Immagino che il pubblico vi abbia trasmesso tanta energia, soprattutto vedendo facce amiche. Sì, molti nostri amici sono musicisti; tante band sono nostre amiche, come i Game Over. È bello vedere amici e conoscenti che vengono ai concerti: fa sempre piacere.Il RockaFE è davvero un bell’evento. Assolutamente. Il palco forse è un po’ diminuito come dimensioni, ma è ancora un bellissimo evento. Ce ne fossero… Purtroppo eventi così sono sempre più rari, e anche i locali sono sempre di meno…
“Non volevamo un disco perfetto, volevamo un disco vero”. Avete dovuto convivere con delle imperfezioni? Come avete vissuto la cosa?
Ti svelo un segreto, che poi segreto non è: i pezzi in scaletta quella sera erano undici. Nel disco ce ne sono sette. Questo già dice molto.
Le ragioni sono due: un disco da undici tracce rischia di diventare noioso, e alcuni brani non sono piaciuti agli esecutori stessi. Abbiamo quindi scelto i sette venuti meglio, senza editing. Risulta anche più godibile.
E poi Made in Japan, se non ricordo male, ha sette tracce: c’è un richiamo. Ovviamente senza paragonare Made in Japan a Made in Kachot, sarebbe un’offesa anche per me.Ascoltando il disco, si percepisce l’influenza dei Deep Purple.
Nel caso mio e del chitarrista, assolutamente. Io in realtà sono più fan dei Led Zeppelin. Made in Japan, nella fattispecie, però… è come chiedere “vuoi più bene a mamma o papà?”. Noi veniamo da lì, è totalizzante, e si riflette nel suono.
Il batterista invece è più Pantera che Deep Purple, e infatti si sente quella botta in più. Ma non vogliamo essere una tribute band, sia chiaro.Avete già lasciato intendere che state preparando qualcosa di nuovo. Questo disco live è una chiusura ma anche un’apertura. Voleva essere una chiusura, ma si è rivelato un’apertura. Già che facciamo questo disco nuovo, facciamolo bene.
Abbiamo avuto risposte molto favorevoli, in particolare una: abbiamo appena firmato con un’etichetta tedesca, l’annuncio uscirà a breve. Ci hanno fatto un’ottima proposta. Registreremo a gennaio 2026 e il disco dovrebbe uscire a settembre 2026: tra meno di un anno dovrebbe quindi uscire il quarto album. È un bel contratto per noi. Dopo otto anni di niente, è qualcosa.
Domanda particolare: se potessi scegliere una band con cui condividere il palco, chi sceglieresti?
Rischiando di risultare inviso ai puristi del genere — ma sono troppo vecchio per preoccuparmene — una band che mi fa impazzire da quando li ho ascoltati la prima volta, dieci anni fa, sono i Ghost.
So che dividono, ma la teatralità dei loro spettacoli mi ha stupito: l’ultimo che ho visto era un vero circo. Musicalmente mi piacciono, quindi sarebbe figo aprire per loro.
Poi, se proprio devo essere onesto: anche i Deep Purple attuali.
E ci sarebbero mille band hard rock che mi piacciono, moderne e non: The Darkness, Judas Priest…
Chiudiamo con l’ultima domanda: c’è qualcosa che vuoi dire al pubblico di Tempi Duri?
Ce ne sono tante… Intanto grazie a chiunque legga e a chi decida di addentrarsi nella discografia dei Voodoo Highway.
E poi, dico sempre la solita cosa: “Sostenete la scena, aiutateci, vi prego…”. Scherzi a parte.. In un’epoca con tanta stanchezza culturale, è bello sapere che ci sono ancora persone con passione, che promuovono, partecipano e vivono attivamente una musica che in Italia è purtroppo declassata: metal, hard rock, tutto l’ambito più reale della musica. È bello sapere che ci sono queste realtà. Speriamo che il vento cambi.
Grazie per il tempo che ci hai dedicato, è stato un piacere conoscerti e non vediamo l’ora di ascoltare il vostro prossimo disco!Niente, e se il prossimo 9 Maggio passate a Isola della Scala, suoniamo a Isola Rock! Vi aspettiamo!





