INTERVISTA AI MASTERCASTLE

INTERVISTA AI MASTERCASTLE

Il piacere di una intervista sta nel riuscire a percepire qualcosa del mondo interiore dell’artista.

Se Pier Gonella sceglie maggiormente un racconto tecnico, Giorgia Gueglio fa emergere il lato più emotivo di artista. Ma entrambi palesano il proprio piacere di essere musicisti.

Già sette album in quattordici anni, nonostante l’ultima pausa di cinque anni. Da che dipende questa prolificità?

Gonella: Non so, ci viene l’ansia di produrre. Noi abbiamo iniziato nel 2008 col primo album, e devo dire che nei primi quattro siamo stati proprio delle schegge, perché come usciva un disco ci mettevamo subito dietro al successivo e ciò fu dovuto, oltre al nostro entusiasmo, all’entusiasmo dell’etichetta discografica dell’epoca che era la finlandese “Lion Music” che ci dava veramente carta bianca. Scrivevo loro che avevo il disco pronto, e loro “Va bene, va bene”. Questo supporto ci aiutò molto. Era un momento in cui produrre tanto in velocità aiutava la band a crescere. Col tempo abbiamo rallentato un pochettino per far le cose con più calma e gestire un po’ le idee che all’inizio sono tante e dopo devi farle maturare, compatibilmente anche col mercato il quale va sempre nel tempo rallentando, e in questo momento oggi non avrebbe senso correre come una volta. Negli ultimi album ci siamo concentrati nel far rinfrescare le idee, e quindi siamo andati più lenti, ma in effetti nel complesso ne abbiamo fatti tanti.

Gueglio: Eravamo continuamente stimolati a comporre, a creare, perché siamo principalmente due creativi, ognuno a modo proprio, e insieme agli altri abbiamo trovato un punto d’incontro che permetteva di esprimersi. E quando si trova tale scintilla è giusto andare avanti finché c’è.

La vostra stilistica è molto orecchiabile ma associata ad un riffing graffiante. Un equilibrio tra durezza e melodia che non indebolisce le due essenze, ma le fa convivere. E ciò sin dal primo album dove la traccia d’apertura ‘Words are Swords’ contiene l’ambivalenza sottolineando una certa tonicità. E avete mantenuto la vostra robustezza anche qua, ben più che nel lavoro precedente, senza svilire l’orecchiabilità delle linee cantate.

Gonella: E’ stata anche un po’ di fortuna, ci è andata bene [sorride n.d.r.]. Non c’è nulla di studiato, diciamo che nel momento in cui, fin dall’inizio, abbiamo messo assieme il mio modo di suonar la chitarra, che all’epoca, più di adesso, era molto legata al neoclassico, da Malmsteen che comunque a modo suo è anche un chitarrista Heavy Metal oltre che un virtuoso, fino a Stratovarius che a me piacevano tanto, e tutto il Power Metal, e volendo sfogarmi in questo modo, però ciò unito ad una voce femminile, veniva istintivo sfruttarne le potenzialità che sono di un timbro più melodico e meno aggressivo rispetto ad una voce maschile che alla fine ti porta verso altri generi magari più vicino al thrash o simili. Poi devo dire che il primo album, all’inizio fai le cose e non ti rendi conto, è stato subito etichettato come una band che alternava le melodie a riff accattivanti, e nel nostro piccolo, senza usare paroloni, è diventato il nostro trade-mark, il nostro stile. Non ci è mai venuto l’istinto di spostarci più di tanto, anzi, forse proprio in questo compromesso riusciamo ad essere più vari. Alla fine fare un disco tutto Power o tutto lento, anche se ci avviciniamo a volte al gotico, alla lunga magari ci stuferebbe. Questa varietà aiuta tutti a sfogarsi mantenendo l’esigenza di creare un album che abbia senso artistico, e anche un senso di mercato.

Gueglio: Citando ‘Words are swords’ dal primo cd ‘The Phoenix’, lo ricordo come uno dei brani più grintosi che abbiamo composto ed era proprio pieno di passione, la volontà di abbattere tutti i muri che nel mondo musicale, magari per chi fa una gavetta molto lunga come nel mio caso, si erano creati lungo la strada. Soprattutto una voce femminile nell’Hard Rock, comunque nel Metal, è vista sempre con una sorta di sospetto. E quando finalmente siamo riusciti a mettere insieme le nostre forze, a creare questo sound così completo, così piacevole, ero molto contenta, ma avevamo anche tanta grinta; grinta che, per quanto mi riguarda avevo accumulato nel corso degli anni, e che con quel brano lì finalmente si è sfogata. Mi fa piacere che anche per il nostro ultimo lavoro tu abbia percepito questo tipo di impronta, vuol dire che la grinta non l’abbiamo persa. Come dice Pier abbiamo spaziato. Ci sono brani più cattivi, brani un pochino più melodici, ma l’importante è non perdere la passione degli inizi.

Se la stilistica non è cambiata, cosa è cambiato per voi nel tempo?

Gonella: A mio avviso un pochettino è cambiata tutta la band, anche se io e Giorgia siamo i principali compositori;  dopo i cambi di line-up, essa si è amalgamata. I primi album erano un modo di interfacciarsi tra la mia chitarra e la voce di Giorgia, non dico proprio un incollare le due cose, ma c’era meno maturità nel mettere assieme i due aspetti, ci mettevamo d’accordo in maniera meno consapevole. Lasciavo fare a lei in un punto dove voleva agire in un certo modo, lei lasciava a me in un’altra canzone. Man mano secondo me questi aspetti si sono integrati. Questo ultimo disco lo trovo più azzeccato in termini di punto d’incontro tra chitarra e voce, e infatti anche a livello compositivo siamo stati più veloci e con meno intoppi, quei piccoli ostacoli quando un brano magari non ti convince, quando io vorrei provare le voci in maniera diversa, o lei stessa vorrebbe un suono diverso, ecco che invece siamo andati spediti, ci siamo subito trovati d’accordo. Anche lo stile si è un po’ affinato.

Gueglio: Potrei aggiungere che avendo fatto tanti album in modo così frequente, è un prodotto di quello che abbiamo vissuto al momento. Se prendo ‘On Fire’ [IV album – 2013 n.d.r.] e lo riascolto, mi da delle emozioni legate al periodo che stavo vivendo. Nel corso degli anni, vivendo periodi diversi di quotidianità, di esperienze differenti, nascono dalle sensazioni che sono del momento e che poi influiscono sulle composizioni.

Mastercastle discografia
The Phoenix (2009)
Last Desire (2010)
Dangerous Diamonds (2011)
On Fire (2013)
Enfer (De La Bibliotèque Nationale) (2014)
Wine of Heaven (2017)
Lighthouse Pathetic (2022)

Steve Vawamas – Bass (Shadows Of Steel, Tragedian, Angels In Black, Athlantis, ex-The Dogma)
Pier Gonella – Guitar (Wild Steel, Necrodeath, Odyssea, ex-Fogalord, Verde Lauro, Athlantis)
Alessio Spallarossa. – Drums
Giorgia Gueglio – Vocals

C’è quindi adesso un modo più corale di pensare un album. E infatti non si percepiscono certe debolezze che erano presenti sui primi. Non solo della voce, che al tempo qualche indecisione l’aveva, ma anche di certi passaggi. Oggi affiora più determinazione. Chi guida questa macchina artistica?

Gueglio: Pier.

Gonella: Bè, si, principalmente. No, io schiaccio l’acceleratore, poi il volante lo teniamo un po’ ciascuno [ride n.d.r.]. Sicuramente io e Giorgia siamo sempre stati i punti di partenza per la creazione dei brani e poi passiamo la palla al bassista e al batterista. Negli ultimi anni Steve, che è sempre stato con noi fin dall’inizio, ha saputo amalgamarsi in maniera sempre più efficace e ha spesso anche lui proposto dei brani, per esempio qualche lento dei primi album l’ha scritto lui, ci ha sempre dato tante idee. Col tempo ci siamo sempre più divisi i compiti. Quando io gli proponevo un brano che funzionava, lo accettava senza cambiarlo, poi magari mi proponeva un brano che io accettavo, un rispetto delle parti. Tipicamente il bassista e il batterista, in contesti come il nostro, dove cerchiamo di fare una musica melodica, tendono a voler essere protagonisti. Dove c’è un riff di chitarra incalzante ed una bella melodia, magari si vuole inserire un giro di basso particolare, un tempo di batteria più sperimentale, e così magari crolla tutto il castello. Ma questo nostro rapporto si è venuto a maturare e funzioniamo più integrati. Nel tempo però è venuta a maturare anche la mia esperienza da fonico, ad essere sincero il primo album  ‘The Phoenix’ è stato uno dei primi in cui sono stato produttore in toto, ma ho fatto tante parti di mixaggio e anche il mastering senza che fossi capace, non ti dico a caso, ma sperimentando in maniera un po’ brutale i computer e i software di cui non avevo ancora tanta conoscenza. Adesso, quasi quindici anni dopo, ho potuto mettere in gioco tutta l’esperienza che ho accumulato.

Giorgia è maturata molto nella voce, come ti sei percepita in questa evoluzione?

Gueglio: SI, in effetti nei primi cd ascolto parecchie ingenuità, ero più acerba. Comunque per me era un onore comporre brani con Pier che ho sempre visto come grandissimo musicista, e quindi sicuramente mi sentivo sotto pressione per poter essere al suo livello. Il mio tipo di voce non sempre aveva la prestazione giusta dato che lui veniva da un background Power, Stratovarius, quindi con cantati che andavano molto alti, con molta potenza, e di conseguenza nei primi cd ho dovuto un po’ rodare un certo modo di cantare, perché il mio in realtà era più legato al Blues, al Rock-blues, quindi magari più calmo, mentre qui cercavo di spingere il più possibile, a volte ai limiti, con un risultato forse non come quello che immaginavo. Andando avanti abbiamo trovato più intesa, e adesso posso dire che la mia voce si amalgama al resto, e Pier, che ha una pazienza infinita, a forza di registrarmi è riuscito a capire le linee melodiche che mi valorizzano di più, la mia timbrica, e le sonorità che mi valorizzano di più, quindi mi ha dato spazio. Forse è per questo che adesso esce la voce in un altro modo.

Possiamo dire che prima ti limitavi nell’inserire delle tue idee, mentre adesso hai maggiore sicurezza nel proporre?

Gueglio: Non lo so, Pier mi ha sempre lasciato libera. Abbiamo avuto ovviamente degli scontri perché abbiamo due caratteri abbastanza forti, però abbiamo sempre trovato il modo di arrivare alle soluzioni o una via di mezzo che ci facesse contenti tutti e due.

Una voce né triste né malinconica come invece è spesso nei gruppi gotici. Ma neanche allegra e spensierata, e nemmeno dura e cattiva. Ha una certa luminosità tonica però. Una timbrica particolare e non assomiglia a quella di altre cantanti.

Gueglio: L’ultimo nostro lavoro racchiude un pochettino tutti i desideri che ho. Si percepisce una voce più calda, mi trovo molto bene con il tipo di melodie che abbiamo creato. Prima cercavo di essere più all’altezza del genere, nonostante la mia voce avesse una timbrica più blues, più bassa anche se le note alte le raggiungo, ma le raggiungo in un altro modo, prediligendo un certo modo di cantare rispetto alla conoscenza che ho del mio strumento. Comunque il Power mi diverte, inserire qualcosa di un po’ più tirato, di più spinto mi dà l’impressione di superare un limite, mi dà un po’ d’ebbrezza, di adrenalina.

Voi due come vi siete conosciuti?

Gonella: Collaborando qui in band liguri, in particolare in un gruppo Progressive, che si chiamava non a caso Progressiva, in cui abbiamo suonato assieme per tanti anni. Poi successe praticamente che io nel 2008 circa, mi divisi dai Labyrinth, dopo cinque/sei anni di collaborazione, ed entrai nei Necrodeath, più o meno, e mi mancava quell’aspetto melodico del metal, e considerando le voci del gotico, fin dall’inizio la mia paura era proprio quella di cadere nel genere alla Lacuna Coil, anche se io rispetto alla grande sia il genere che i Lacuna Coil. Però io uscendo dai Labyrinth e considerandomi un chitarrista più strettamente metal, entrare nel gotico mi sembrava un rischio di svendermi a qualcosa di melenso. Fin dal principio ho cercato di gestire la voce di Giorgia in chiave un pò  neoclassica per rimanere in un contesto più Heavy Metal, magari in modo più vicino ai Nightwish o agli Stratovarius piuttosto che alle band dell’epoca, epoca in cui la voce femminile poi non era ancora tanto sdoganata nel metal. I Lacuna Coil erano già sulla cresta dell’onda però.

Gueglio: E gli Evanescence.

Gonella:  Si, prima dei Lacuna , e anche i Within Temptation, però non era come adesso, dove pare  normale che ci siano voci maschile e femminile. All’epoca era ancora una eccezione e venivi subito etichettato come gotico. E’ forse per non voler cadere in tale situazione, siamo riusciti a farci notare come voce femminile accanto ad un riffing grintoso, sdoganandoci in questo accoppiamento. Ma va considerata la versatilità della voce di Giorgia che ci dà una certa capacità di variare. E’ successo infatti che facendo un paragone col penultimo album ‘Wine of Heaven’, leggendo le recensioni di questo nuovo, tanti hanno detto che abbiamo fatto un passo indietro, affermando che quello era più riflessivo e meditativo. Probabilmente abbiamo alternativamente nella nostra discografia rallentato forse avvicinandoci al gotico, magari inserito più tastiere, per poi periodicamente discostarcene, mantenendo comunque un equilibrio.

Esprimendo la vostra soddisfazione per questo ultimo disco, potete dire di aver coi Mastercastle soddisfatto le vostre ambizioni espressive? C’è da dire che sette album sono tanti.

Giorgia: c’è sempre qualcosa che frulla nella testa altrimenti saremmo defunti o raggiunto la pace dei sensi musicali. Invece c’è sempre una spinta, una voglia di creare, comunque di superarsi. A seconda del periodo che una persona vive, si può essere predisposti per cose più grintose o cose più dolci e tranquille. Però mi sento soddisfatta. Quando siamo partiti puntavamo sicuramente più in alto dal punto di vista del successo, rispetto agli obbiettivi realmente raggiunti, però pensandoci adesso tutto sommato è stata una bellissima esperienza, perché ci ha dato la libertà che altri gruppi magari diventati più famosi, non hanno più. Tutti gli album realizzati sono lo specchio dei nostri desideri, e rispecchiano il momento in cui li abbiamo creati; non potrebbe essere altrimenti non avendo nessuno che ci impone determinati argomenti, determinati sound, determinati look, essendo liberi di creare e di dare spazio alla nostra fantasia e creatività senza limiti imposti dall’alto. Siam sempre stati completamente liberi.

Gonella: Anche per me è così, sia dal punto di vista artistico, sia da quello di tecnico del suono. Con Mastercastle ho sempre sperimentato ed imparato le mie capacità di tecnico del suono. Facendo un breve riassunto, nel primo ‘The Phoenix’ come fonico sono andato quasi a caso, alla ricerca di un sound aiutandomi con l’orecchio e con l’istinto. Poi in ‘Last Desire’  ho migliorato i termini di produzione affinando le mie capacità. Nel più Heavy ‘Dangerous Diamonds’ ricordo una masterizzazione esagerata, facendomi aiutare da Simone Mularoni. ‘On Fire’ è stato un momento molto maturo, e lavorando di più col batterista, al tempo John Macaluso, che aveva portato delle idee, abbiamo concepito un album un pochettino diverso. Invece ‘Enfer’, tanti oggi l’ho considerano quello più riuscito [per me uno dei tre migliori album della band insieme a ‘Dangerous Diamonds’ e questo ultimo n.d.r.],  ed è successo che lì forse sono stato meno testone, invece di voler fare tutto da solo ho iniziato a far lavorare in maniera più presente Andrea De Paoli alle tastiere, affidandomi ad un fonico che era Giuseppe Anastasi, e dato che volevo delle sicurezze tecniche in più, chiesi a Giuseppe Orlando da Roma di venire nel mio studio a mixare il materiale insieme a me. Questo mi aiutò parecchio e il sound è risultato più competitivo. Con ‘Wine of Heaven’ sono tornato a fare di testa mia, e in questo ultimo ho raggiunto un ottimo risultato. E grazie alla tranquillità con Giorgia, e alla sicurezza da tecnico del suono, mi sono più goduto le capacità sviluppate e forse sono riuscito a metterle in pratica. Poi è logico che in ogni prossimo disco potremo fare ancora meglio, è una cosa che si dirà sempre. Con chiunque ho suonato, con Necrodeath per esempio, ogni volta che facciamo un disco il batterista dice che sarà l’ultimo, sono dieci anni che lo dice ma si va sempre avanti.

Il genere che suonate è difficile da categorizzare. Nonostante sia chiaro che si tratti di metal melodico, c’è una tonicità che evita di cadere nell’AoR. Inoltre i ritornelli non hanno un refrain immediato e per questo diventano più interessanti e necessitano di un secondo ascolto. E’ un disco che ad ascoltarlo in modo superficiale si rischia di perderne l’insieme.

Gonella: Ho letto in qualche recensione alcuni giudizi contrastanti. Se c’è chi ha giudicato ‘Call Your Wings’ un brano Power Metal, il più bello del disco, un’altra recensione l’ha giudicato invece più banale. Chi ascolta, come dici tu,  in maniera superficiale, tende a giudicare frettolosamente le cose che sono dentro. Anche ‘Monster Whispers’ ad andamento che io chiamo un po’ Stoner, un po’ Blues,  nella tua recensione ne hai parlato molto bene, ma c’è stato chi l’ha trovato il più noioso. C’è una varietà che può essere interpretata in tanti modi particolari, ma io penso che sia un punto di forza. Quello che noto rispetto all’AoR che hai nominato, è che a livello proprio tecnico ci sono tanti accordi minori. Musicalmente l’accordo minore è più tipicamente neoclassico, come piace più a me, e ciò dà un tono leggermente più serioso, non proprio triste, mentre l’accordo maggiore è più tipico dell’AoR che dà un senso di allegria e positività quando comincia il ritornello, e un senso anche più commerciale indubbiamente. E’ una caratteristica che ho sempre cercato, un contesto melodico voluto con Giorgia, che ci pone in una posizione più particolarmente seriosa. A volte ho trovato che nelle recensioni c’è chi è stato colpito da un aspetto, chi da un altro, ma non hanno giudicato adeguatamente lo stile nel suo insieme.

Questa attitudine all’orecchiabile ricercatezza in effetti non è solo merito della chitarra ma anche delle melodie, e in più la voce caratterizza molto il disco, non assomigliando ad altre sia nella timbrica sia nella costruzione delle linee vocali.

Gueglio: Per quanto riguarda le linee melodiche, un po’ le compongo insieme a Pier. A volte propongo delle idee mie, a volte lui mi suggerisce qualche cosa, quindi è un lavoro fatto insieme. Solitamente è la musica che mi trascina, mi lascio molto trascinare dalla musica. Pier mi passa il brano strumentale e cerco di capire in che mondo mi porta, ad esempio la cosa degli accordi in minore è una cosa che piace molto anche a me e su questo ci siamo perfettamente trovati. Mi ha colpito quello che hai detto prima sui ritornelli perché è qualcosa che non mi è stato mai detto, riguardo al fatto che non rimangono in mente sin da subito, e questo potrebbe essere proprio dovuto al fatto che spesso la semplicità non mi ispira, mi arrivano melodie abbastanza complesse, e cerco di esprimermi creando variazioni. La mia timbrica differente da altre cantanti è stata già notata in passato, e forse dipende dal fatto che vengo da ascolti che non sono prettamente metal, ma più che altro Hard Rock stile Led Zeppelin, stile Whitesnake, e di conseguenza mi sono portata dietro questo modo di cantare, e nel corso degli anni mi ha formata, e questo tipo di background l’ho usato nei Mastercastle.

Gonella: Si, soprattutto nei primi due album mi infastidiva che subito ci paragonavano a Nightwish, Within Temptation, Lacuna Coil. Col senno di poi, visti i tempi, lo capisco, era normale, ma Nightwish, vabbè, ancora ancora,  ma avevo sempre questo terrore di essere considerati la serie B del gotico. Comunque se ti paragonano a nomi di un certo livello, alla fine diventa qualcosa di positivo.

Venendo alla canzone ‘ Monster Whispers’, essa è un blues bello rockettaro, ed è una delle più belle anche se sta nella tradizione. E’ stato un tuo deciso desiderio visto lo stile molto chitarristico?

Gonella: Se non ricordo male l’idea è stata mia, però ero convinto che sarebbe piaciuta a Giorgia e agli altri. L’idea di base era prendere questo andamento sullo stile di Alannah Myles di un suo famoso brano [‘Black Velvet’ del 1989 n.d.r.] però utilizzando, io li chiamo, i “chitarroni”, in una tonalità molto bassa, che sono più tipiche del Nu Metal, dello Stoner, quindi di questi modi anche dell’Hard Core dove si vanno a scordare le chitarre molto in basso in maniera quasi esagerata. Quindi ricalcare il blues ma con una cadenza un po’ schizzata, un po’ fuori dalle righe. E per l’assolo lì ho sfogato la mia vena alla Malmsteen che mi piace molto. Malmsteen è tipicamente neoclassico però ogni tanto si mette a fare blues in questa maniera che è molto metal, perché comunque ha un sound molto distorto. Mi son tolto proprio una soddisfazione ed è venuto fuori un brano molto carino, inoltre sapevo anche che questo tono un po’ blues, un po’ HardRock, sarebbe piaciuto a Giorgia, e di conseguenza ci ho provato, e la parte finale dove ci sono degli assoli che si alternano a dei vocalizzi senza testo, si richiama volutamente i Whitesnake, e anche questo era nelle corde di Giorgia. Insomma sapevo che avrebbe funzionato. Abbiamo inserito tante soddisfazioni dentro questo brano. Mi fa piacere che tu l’habbia capito, magari chi vede i Mastercastle come più Power neoclassico, non apprezza un pezzo che non rientra nel sound della band. In effetti se gli Helloween facessero un brano così, capirei che d’istinto il metallaro classico non lo apprezzerebbe.

Gueglio: E’ uno dei miei brani preferiti proprio perché accarezza il sound che mi è sempre piaciuto, e mi è piaciuto molto registrarlo, comporlo nella parte della linea melodica, testo compreso, il “respiro del mostro”. Diciamo che mi sono divertita, mi ha dato una sensazione un po’ scura però sempre con un messaggio positivo. Il sospiro del mostro a volte ognuno di noi, nella vita, lo sente dentro; la nostra parte oscura che dobbiamo sempre cercare di ridimensionare, superandola con pensieri positivi. Il brano musicalmente è nelle mie corde.

Sarebbe adattissima ad essere eseguita dal vivo.

Gonella: E’ vero. Secondo me dal vivo avrebbe un bel tiro, una bella resa.

E se ‘Monster Whistle’ è un episodio proprio da Pier Gonella, invece sono presenti due pezzi strani non riconducibili a te in modo diretto. Si tratta di ‘Fantastic Planet’, in quella che vedo come nostalgia anni sessanta, e il similPop di Space, un rock più sbarazzino tipo Roxette già presente nel primo album.

Gonella: ‘Fantastic Planet’ è stata un’altra mia soddisfazione. Con Mastercastle ho avuto sempre la possibilità inserire brani strumentali che mi sarebbe sempre piaciuto suonare, e che però in un progetto strumentale sarebbero state di troppo, mentre in un contesto del genere hanno sempre funzionato. Nel secondo album c’è ‘La Serenissima’, che è un brano dei Rondò Veneziano, fu digerito bene da tutti. Di ‘Fantastic Planet’ mi era piaciuto il film d’animazione francese [insieme ad autori cecoslovacchi n.d.r.] un pò assurdo, fantastico, degli anni settanta [1973 n.d.r.]. E mi aveva colpito anche la colonna sonora del compositore Alan Goraguer che era Progressive; ci sono delle melodie che mi erano piaciute fin dall’inizio, e in sei minuti di brano ho messo insieme tutte queste tematiche che nel film durano un’ora. L’avevo in cantiere da un po’, impostato nell’hard-disk. Sull’esperienza di ‘Enfer’, per dargli del tono, ho mandato il brano a De Paoli, al quale dissi: “Mettici un po’ di tastiere, vediamo che ne viene fuori”. E lì la tastiera ha fatto tanto, perché comunque prima era un pezzo molto più grezzo, con meno stile; quando ho sentito la tastiera di De Paoli, mi sono venuti in mente i Pink Floyd e un po’ i Deep Purple. Le parti vocali presenti sono un insieme: delle parti fatte da Giorgia, dalle parti che ha fatto De Paoli mettendo l’orchestra e un sacco di suoni di tastiera, e poi ci è andata sopra Giorgia creando un senso corale. E’ il punto più melodico del brano che nel film è cantato a volte a voce singola, a volte col coro, a volte suonato strumentale, ed è un punto che collega tutta la colonna sonora. L’obbiettivo era usare questo momento per dare una sensazione epica, che poi distaccandosene diventa più fusion e anni settanta.  Quindi altra soddisfazione che mi sono tolto e ci sta bene tutto sommato. Invece ‘Space’, rifacimento del brano del primo disco ‘The Phoenix’, terzo della scaletta, io mi ricordo che anche in quel primo disco, eravamo quasi titubanti perchè ha un bel ritornello che rimane in testa, quasi troppo cantabile per il nostro standard, con un senso pop, ma siccome questo album mi sembrava un po’ un ritorno alle origini, è venuta l’idea di riprendere uno di quei brani del primo e riproporlo tale e quale, solo risuonato con la nuova formazione.

Gueglio: quando avevamo composto ‘Space’ ero piena di entusiasmo, e questo brano mi divertiva tantissimo proprio per la leggerezza che aveva, era completamente differente da tutti gli altri, e così spiazzava. Una canzone che come dici tu è quasi da Roxette. Un pop reso più hard, che era la cosa un po’ divertente, un po’ di pepe nel disco per dare movimento.

La chitarra dei Mastercastle appare più variegata e pluralista rispetto a come agisce nei Necrodeath e nei Vanexa.

Gonella: Mastercastle è la band dove ho più iniziativa e quindi più libertà. Se avessi proposto ai Vanexa una canzone come ‘Fantastic Planet’ poteva suonare un po’ strano. Con Mastercastle mi viene più istintivo osare e da lì una libertà che mi consente di lavorare di più sul suono. Poi non ti nascondo che Mastercastle nasce principalmente come progetto da studio, anche se abbiamo fatto qualche concerto, non tanti, in cui ci siamo divertiti molto. L’idea è quella di creare brani belli, ascoltabili, musicali, per cui in studio non mi formalizzo mai. Ci sono sovraincisioni, magari con sette/otto parti di chitarra, e so benissimo che poi dal vivo non potrò suonarle tutte quante. Do la precedenza all’ascolto, mentre in altre band si cerca il compromesso perchè le cose dal vivo rispecchino ciò che si fa in sala prove. A maggior ragione in questo album che è stato elaborato nei periodi di lockdown, dove eravamo tutti in studio e nessuno era in giro a suonare, ha fatto sì che io abbia sperimentato tanto sui suoni e sulle mie possibilità. Quando ci sarà da proporre i brani del disco nuovo sul palco si farà un po’ di riarrangiamento. Nei Mastercastle c’è una libertà compositiva maggiore.

Quindi opera d’arte è quella da studio, il concerto vive di un’altra dimensione.

Gonella: Infatti. Dal vivo c’è l’impatto visivo, quindi se hai la giusta presenza scenica, ciò non farà sentire la mancanza degli strumenti e delle sovra incisioni che ci sono nel disco.

Nella ritmica però la tua chitarra ha usato più pennate continue in senso ottantiano che in altri dischi.

Gonella: Non è che lì ci sia stata una cosa premeditata. Di sicuro volevo delle ritmiche cadenzate, molto serrate. Poi c’è un lavoro che sto facendo ultimamente, di produzione di musica digitale, dove produco delle basi, degli accompagnamenti per musicisti, e un po’ mi sono ispirato paradossalmente a me stesso in questi sottofondi, nei quali davo una serie di plettrate continue che in passato non facevo. E anche realizzando questi accompagnamenti mi son reso conto che delle parti mi facevano dire: “E vabè, se qua ci mettiamo la voce di Giorgia questi sono i Mastercastle”.

Ospite nel disco Lione che appare in tutta la sua forza in ‘Who cares for the Moon’, ma nella song ‘Call your Wings’ è quasi come se non esistesse.

Gonella: L’idea con Lione è nata perché sono praticamente passati cinque anni dal disco precedente, e allora si voleva proporre qualcosa di forte. Tutti si fa finta di niente, ma il mercato discografico è sempre più zoppicante, siamo sempre più band, siamo tutti attaccati ai social. Nel 2013 avevamo avuto come ospite Roberto Tiranti, che ha cantato il brano ‘Platinum’ nel disco ‘On Fire’, ed era venuta una collaborazione molto bella, molto di valore, per cui ci siamo detti “cerchiamo un personaggio che possa dare una marcia in più”. L’idea era quella che ci desse una mano in termini di visibilità. E’ stato un po’ un salto nel vuoto perchè anche se conoscevo Fabio non avevamo mai collaborato. Mi buttai e gli proposi la cosa, e devo dire che è stata la persona giusta, dato che è molto conosciuto, ed in effetti il video con lui che abbiamo pubblicato ci ha dato delle strade anche in termini di pubblicazione, di news, soprattutto nel Sudamerica e all’estero, un interesse che prima in effetti non avevamo avuto. Obbiettivamente ci ha aiutato. Poi lui si è mostrato molto professionale oltre che molto sensibile nel senso che ha saputo integrarsi con quello che avevamo proposto senza snaturare. Io gli mandai quattro brani facendogliene scegliere uno e da subito ha apprezzato quello che poi ha cantato. A volte può arrivare un ospite che vuole fare  il fenomeno e vuole rifare tutto da capo, invece si è inserito in modo molto amichevole. Però poi, approfittando un po’ della sua gentilezza, finito il primo brano in cui era stato velocissimo, gli chiesi di cantarmi un altro ritornello e poi si sarebbe andati a mangiare, e allora al volo gli feci registrare il ritornello di ‘Call your Wings’, ma proprio una cosa immediata, misi in play il brano e cantò. E quindi alla fine ho tenuto anche queste sue voci che indubbiamente sono meno presenti. Ma è servito comunque ad etichettare la sua collaborazione su due brani invece di uno.

Tra gli altri un’altra curiosità è ‘Rosso Profondo’.

Gonella: Lì ho cercato di realizzare qualcosa di diverso dato che un brano molto conosciuto e conosciuto anche dai metallari, e poi è stato spesso coverizzato; non volevo rischiare di fare qualcosa di banale. Avevo l’idea di stravolgerlo ma senza esagerare, perchè l’originale è bello così com’è, e allora ho iniziato con delle chitarre acustiche che lo fanno sembrare un altro brano. Poi il tema che ricorda appunto ‘Profondo Rosso’ arriva in un secondo momento. L’idea è nata sul fatto che l’altra cover ‘Fantastic Planet’ era una colonna sonora di film, e lo stesso per il brano strumentale del disco precedente ‘Wine of heaven’ che era sempre tratto da un film, in quel caso giapponese, allora mi piaceva l’idea di continuare in questo senso, facendone una caratteristica di stile dei Mastercastle. Anche in questa cover, aggiungendo le tastiere di De Paoli, sono riuscito a dargli una sonorità più morbida e più epica.

‘Fast as a Shark’ degli Accept non è cantata da Giulia ma da Flegias dei Necrodeath, inoltre è più o meno simile all’originale, quindi non ha una valenza da scelta artistica. E’ stato solo un tuo grande desiderio di suonarla?

Gonella: In effetti è un po’ come dici tu. Si tratta di un brano a cui sono sempre stato affezionato e quindi l’idea di inserirlo in un album mi ha sempre affascinato. Dopo l’esperimento del secondo album Mastercastle ‘Last Desire’ dove per esigenza di ristampa facemmo una cover dei Pink Floyd cantata da Flegias insieme a Giorgia, mi è venuto istintivo proporre a lui questa nuova cover, giusto per inserire qualcosa di diverso nel nostro sound. Per il resto il brano mi piace tanto così come è l’originale, che ho voluto solo proporne la nostra esecuzione e cercare di dare una produzione forse un poco più moderna. Alla fine con le cover ho sempre avuto questo tipo di rapporto; tranne pochi casi non mi piace l’idea di stravolgerle, ma solo di suonarle, un po’ come fare un tributo o un omaggio a dei brani che mi piacciono.

A proposito delle tue apparizioni in rete, noto nei video ufficiali e in quei pochi video di voi dal vivo, che l’atteggiamento tuo è sempre quello di mostrarti rockettaro nei movimenti e nelle classiche pose metal, headbanging compreso. Appari il più duro dal punto di vista visuale.

Siccome mi sento molto sicuro dal punto di vista dell’iniziativa da studio nei Mastercastle, dal vivo mi sento più responsabile e do veramente tutto me stesso in termini di energia, perché ho sempre paura che il pubblico non sia soddisfatto di quello che proponiamo, e allora l’ansia da prestazione fa sì che io mi sfoghi a volte anche in maniera quasi eccessiva. Stacco tutti i freni e do il massimo.

Come scegliete i titoli dei brani e degli album? E il significato di copertina e titolo di ‘Lighthouse Pathetic’?

Gonella: E’ tutto lavoro di Giorgia.

Gueglio: Indicativamente sì. Magari vado un po’ a sensazione, di quello che la musica mi trasmette. Ne parlo e mi confronto ovviamente con Pier, e oltre che a lui deve andare bene anche a Steve e ad Alessio. la stessa cosa vale per la copertina. Il faro di questa copertina ha un significato parecchio simbolico. La luce che guida le navi nei porti, quindi al sicuro. E dopo gli anni che abbiamo avuto col covid, mi sembrava che avessimo tutti bisogno di una guida. La luce del faro non è mai ferma e quindi esprime movimento, il movimento mi affascina perché non mi piacciono le cose statiche. Il fascio che gira e illumina o il mare o la montagna o le case, guida le navi in pericolo. Ho notato che in quasi tutti i testi, senza quasi rendermene conto, inserisco elementi naturali, quindi ci sarà sempre il cielo, sempre il vento, un sentiero, probabilmente mi viene spontaneo. A seconda della melodia vado su sensazioni positive o a volte anche di rabbia, ma anche giocose sebbene sia raro. A volte più malinconiche. In alcuni casi anche sensazioni di rivalsa, ma questo succedeva soprattutto nei primi album. C’è un miscuglio di elementi naturali e sensazioni che proviamo noi umani vivendo la vita di tutti i giorni.

Rimanendo sui testi. La bellissima canzone del vostro passato ‘The Castle’ da ‘Enfer’ del 2014, possiede un teso ambiguo dove il castello può essere sia un luogo concreto dove trovare rifugio, sia un luogo interiore della persona. A cosa vi siete ispirati? Sapevate che nel 1577 la spagnola Santa Teresa d’Avila scrisse un libro intitolato ‘Il Castello Interiore’ che è un viaggio nelle stanze (sette) interne della persona fino al centro dell’anima? Coincidenza?

Gonella: No, non lo sapevo.

Guieglio: Nemmeno io. Incredibile. Sono stupita. Andrò subito a vedere.

Che input avete dal mondo estero?

All’estero sono più conosciuto come chitarrista di Necrodeath, o come ex dei Labyrinth  grazie ad una attività live , soprattutto coi Necrodeath, molto intensa. Mastercastle non ha fatto mai concerti all’estero, e questo un po’ influisce. Ho notato che musicisti appassionati colpiti dal mio stile con Necrodeath che poi sono andati a cercare le mie attività musicali, hanno scoperto Mastercastle o gli altri progetti che ho e li hanno sempre apprezzati. Nel piccolo, nel web, tramite il canale YouTube, c’è una piccola, ma piccola piccola, nicchia di appassionati delle mie cose neoclassiche. Quello che mi ha fatto piacere col tempo è che non c’è stata mai una cosa patriottica, fai thrash coi Necrodeath quindi suonare nei Mastercastle è sbagliato, oppure suoni nei Mastercastle e cos’è quella cosa lì estrema, è invece tutto sempre apprezzato in maniera costruttiva. Chi apprezza un genere alla fine ha digerito l’altro.

Giorgia Gueglio canta da molti anni e nei Mastercastle appare ormai ottimamente al meglio. Hai qualcosa che ancora vorresti costruire? Sei soddisfatta? Hai altre aspirazioni?

Gueglio: Direi che sono soddisfatta così. Al momento non farei altro, non ho bisogno di altro al di fuori di Mastercastle.

Quali gruppi piacevano a Giorgia ragazza?

Gueglio: Direi Whitesnake; Led Zeppelin; Queen; Genesis tanto quando ero bambina. Gli anni ottanta di Bon Jovi, tutto il Glam, Leatherwolf, Lita Ford. Ho spaziato sempre.

Si dice che i dischi solisti, a latere dei gruppi di provenienza, servano a soddisfare ciò che altrimenti non troverebbe una via di sfogo. Bè, il progetto Mastercastle, dall’intervista, è sembrato proprio avere tale ruolo, ma non tanto come mondo individuale di Gonella, quanto come viaggio condiviso, dove anche Gueglio sembra vivere il progetto come sua propaggine solista. Una personalità musicale forte per due anime che sembrano non poter fermarsi mai, in grado di imporre se stessi contemporaneamente, a discapito di nessuno, anzi a valorizzazione delle idee.

a cura di Sky Robertace Latini