Interiorama
Selva
Con “Selva”, Interiorama non firma solo un disco, ma un manifesto sonoro che esplora il confine tra l’umano e il naturale, tra la memoria delle radici e la necessità urgente di appartenenza a un tutto più grande. Nato da una profonda riflessione sul rapporto fra uomo e ambiente, il secondo LP del collettivo guidato da Gianluca De Vito Franceschi è un viaggio che affonda nel ventre caldo della musica latinoamericana per emergere con una voce potente e stratificata, capace di raccontare storie collettive e spirituali, resistenze e rinascite.Il titolo “Selva” è immediatamente evocativo: non solo una giungla fisica, tropicale, ma un luogo mentale e ancestrale, simbolo di disordine fertile e di un ritorno necessario. La selva, per Interiorama, è il caos primordiale da cui tutto ha origine, è lo spazio dove l’essere umano può finalmente liberarsi dalle sovrastrutture sociali per riconoscersi come parte della natura, e non al di sopra di essa.
Questa tensione tra la natura e la cultura si traduce in un linguaggio musicale che rompe i confini tra generi: cumbia, dub, afro-funk, musica elettronica, poesia parlata. Ogni brano è un rito collettivo, una narrazione corale che pulsa di ritmo e significato.La ricchezza sonora di “Selva” è sorprendente, e affonda le sue radici nel lungo percorso del progetto, nato in Costa Rica ma cresciuto in Europa, arricchito da collaborazioni importanti e da un’identità sonora sempre più definita. Il lavoro di produzione – che vede coinvolti nomi come Flavio Ferri, Antonio Aiazzi e Francisca – risulta impeccabile: ogni suono sembra nascere dalla terra stessa, ogni beat è un passo nella polvere rossa delle radici comuni.Il disco si apre con “La Sangre”, un brano rituale, quasi sciamanico, dove la voce femminile ospite di Unadasola si intreccia con percussioni pulsanti e un basso profondo. Il testo è un invito a riconoscere la “sangue antica” che scorre in ognuno di noi, ponte simbolico tra passato e presente.
Segue “Radicao”, forse il manifesto concettuale del disco: un brano che lavora sulla parola “radice” in più lingue e significati. Musicalmente è ipnotico, costruito su un loop di chitarra e un groove che richiama il dub caraibico, ma con un’anima tribale. L’idea di radicamento qui si trasforma in una rivendicazione culturale: appartenere per resistere.Il punto più alto del disco è probabilmente “Cumbia de Guardistallo”, non solo per la sua qualità musicale, ma per il valore simbolico che porta con sé. Nato da una residenza artistica toscana, il brano è frutto di una vera co-creazione tra musicisti professionisti e artisti con storie diverse. La voce di Francisca si fonde con la fisarmonica poetica di Aiazzi e la produzione calda e avvolgente di Ferri. Ne esce un brano che è festa e resistenza, un inno alla musica come collante sociale.La cumbia, con il suo ritmo trascinante e inclusivo, diventa linguaggio universale. Qui Interiorama riesce nell’impresa di rendere tangibile un’idea: che la musica può trasformare, creare comunità, spezzare catene. Il ritornello ripetuto, quasi un mantra collettivo, ha il potere di evocare e unire, come un falò al centro di un villaggio.
Il viaggio prosegue con “Poesia”, un brano sospeso, minimale, costruito su una linea melodica dolce e rarefatta. Qui la parola diventa protagonista, con versi sussurrati che raccontano l’amore per la terra, ma anche le sue ferite. Un momento intimo, di respiro, prima di ripartire con “Paso a Paso”, brano già uscito come singolo nel 2024, che è una marcia ritmica verso il cambiamento, una camminata collettiva verso una selva più giusta.Con “Sientate” e “San Isidro”, Interiorama esplora la spiritualità popolare. Il primo è un brano dal sapore quasi reggae, che invita alla contemplazione e alla lentezza, mentre il secondo è una dedica al santo contadino patrono degli agricoltori, con un groove che mescola tradizione e modernità, sacro e profano.In “20:18”, realizzato con Ratlock, le sonorità si fanno più urbane, con influenze hip hop ed elettroniche che creano un contrasto interessante con il resto del disco. Qui la selva si sposta in città, e il messaggio rimane intatto: “siamo natura anche tra cemento e asfalto”.
Il disco si chiude con “Orzo Rebajada”, brano strumentale che gioca con i tempi rallentati e le armonie psichedeliche tipiche della cumbia rebajada. Un finale sospeso, quasi sognante, che invita a perdersi – ancora una volta – nella giungla della mente.“Selva” è un disco che non si limita a intrattenere: educa, provoca, risveglia. Interiorama riesce a costruire un’opera organica e coerente, in cui ogni brano è tassello di un racconto più grande. Le tematiche ecologiche e sociali non vengono mai imposte, ma sussurrate con eleganza, accompagnate da melodie che accarezzano e percussioni che risuonano nel profondo.Il valore del disco sta anche nella sua capacità di connettere mondi diversi – geografici, musicali, culturali – in un’unica voce. “Selva” non è solo un album, ma un’esperienza rituale, una danza collettiva sotto il cielo della memoria e dell’immaginazione. Interiorama ci ricorda che non possiamo salvare il pianeta senza prima ritrovare noi stessi dentro di esso.
In un panorama musicale spesso frammentato e autoreferenziale, “Selva” si distingue per coerenza e profondità, offrendo all’ascoltatore un invito sincero a rallentare, ascoltare, e tornare alla radice. Un lavoro necessario, vivo, destinato a crescere nel tempo e nelle coscienze.
Un album che pulsa di vita e consapevolezza. Da ascoltare a occhi chiusi, nel silenzio della propria giungla interiore.
Anna Cimenti