In Pain
The thing from the grave
Quando ho terminato l’ascolto di queste 9 tracce mi sono chiesto:
C’era davvero bisogno di un disco del genere? Se vivessi in una sorta di bolla spazio-tempo sospesa a cavallo dei primi anni 90 e amassi la putrescenza e il marciume di “Left hand Path” o “Clandestine” o più in generale fossi morbosamente ancorato al fuzz sound svedese dell’epoca forse… Ma siamo lontani, qui, dall’originalita’ e dall’impatto assoluto della batteria e del riff style degli Entombed di cui questo ” The thing from the grave” suona come una pallida imitazione da discount. Quasi 42 minuti di anacronistica ovvieta’ sonora che lascia il retrogusto di un B-movie scadente, il nulla assoluto. Non a caso gli stessi inventori primigeni del sound in questione avevano abbandonato negli anni quelle soluzioni timbriche che alla lunga limitano la gamma di espressivita’. Ma gli IN PAIN, tenaci e imperterriti, proseguono dal 1992 a proporre in loop lo stesso sound tra demo, Ep e full-lenght. Avvincente come un greatest hits dei Cugini di Campagna questo disco e’ utile quanto una bicicletta per un pesce. La voce (lontana distanze siderali da Petrov) e’ onnipresente e ignara, parafrasando Steve Martin in “Un biglietto in due”, che se prendesse delle pause, sarebbe la parte piu’ interessante della sua prestazione al microfono. Uscito 30 anni fa avrebbe avuto, forse, il plauso di un certo contesto storico ma, ora come ora, e’ esoterico al pari de “L’Esorciccio” e inquietante quanto “L’invasione dei pomodori assassini”. Le cose nelle tombe, a volte, e’ meglio che restino nelle tombe. Per gli amanti del pattume inveterati.
Mr. Hellvis