Glass Hammer
Rogue
Fondati nel 1992, i Glass Hammer sono da decenni una delle colonne portanti del progressive rock sinfonico statunitense. Guidati dai polistrumentisti Steve Babb (basso, tastiere) e Fred Schendel (tastiere, chitarra), la band ha costruito una discografia ricca e variegata, spaziando da concept album tolkieniani a sperimentazioni più moderne.
Con Rogue, il loro ventiduesimo album in studio, dimostrano ancora una volta di non aver paura di evolversi, mescolando prog, synth-pop anni ’80 e atmosfere new age in un lavoro sorprendentemente coerente e commovente. A differenza di molti dischi precedenti, Rogue abbandona i temi fantasy per affrontare i temi universali del distacco, della morte e dell’accettazione. Steve si conferma un narratore raffinato, raccontando la storia di un uomo che si prepara a lasciare i suoi cari, tra rimpianti, amore e speranza. La spiritualità cristiana, sempre presente nei testi della band, qui non è didascalica (come può esserlo in Neal Morse), ma rappresenta una stella polare discreta, che guida senza imporsi.
L’album non è il classico symphonic-prog alla Yes o ELP, ma è qualcosa di evidentemente sperimentale già dal’opener What If, con i suoi chiari richiami new age che ricordano Behind the Waterfall di David Lanz, che poi si trasformano in una ballata prog con echi di Jon Anderson e con la chitarra di Oliver Day che evoca Steve Howe su un tappeto di voci multiple melodiose. Le seguenti The Road Douth e Tomorrow sono un ritorno al classicismo della band con organo Hammond, campane tubolari e un basso potente in grande spolvero. L’ottima Pretty Ghost si distingue per la voce di Olivia Thorpe che aggiunge una vena più pop, con melodie accattivanti e cambi di tempo inaspettati. Sunshine è un brano dagli echi anni ’80, con lap steel e atmosfere che ricordano gli Yes più melodici. I Will Follow e The Wonder of it All sono buoni pezzi anche se non spiccano più di tanto ma il capolavoro è dietro l’angolo, Terminal Lucidity, sicuramente la canzone più interessante, è uno space-rock emotivo, con un assolo di chitarra epico ed uno stranamente piacevole synth mediorientale. All Good Things chiude con un misto di malinconia e speranza, tra passaggi strumentali misteriosi e un finale che ricorda il miglior Alan Parsons.
Rogue è una delle prove più mature dei Glass Hammer, un lavoro che cattura e lascia libero sfogo ad emozioni autentiche e seppur rappresentando l’ennesimo viaggio musicale della band, dimostra palesemente come il gruppo sia ancora in piena sintonia con il mondo del rock.
Massimo Cassibba