Ginger Evil

The Way it burns

Quando arrivarono gli anni ottanta il rock duro aveva solo una decina di anni di vita anche se vi erano stati dischi stupendi e ancora oggi basilari per il genere. E in quel periodo esisteva tanto “solo rock” che non teneva accostato l’aggettivo “hard”; molta di quella musica “solo rock” era considerata commerciale in senso non denigratorio e attirava le masse, dai Rolling Stones a Patti Smith, dai Supertramp agli Eagles, da Tom Petty ai Camel; e non c’erano solo dischi intellettualoidi o di supervirtuosi, ma molti dischi con canzoni più spensierate ed ariose. Nessun genere rock perdeva la dignità valoriale, esistevano solo bravi o cattivi artisti ma i generi vivevano il mainstream tutti, anche i gruppi impegnativi avevano un folto pubblico non d’elite. Oggi che il metal ha vissuto una lunga storia e ha sfornato una quantità impressionante di prodotti discografici, è forse diventato un importante pezzo di riferimento per musicisti ed artisti, e anche i fruitori vi fanno i conti, per cui un disco di “solo rock” sembra aver perso pregnanza se non immette un po’ di accordi pesanti o assoli sibilanti.

E così rischiamo di tacciare di vuoto e superficialità un disco come questo dei Ginger Evil, che invece ricorda molto l’impostazione variegata e dinamica di molti gruppi anni settanta, seppure usando sonorità anche moderne. Non dobbiamo fare l’errore di pensare di spessore solo i dischi seriosi ed accigliati. Anzi, un disco orecchiabile di valore è una cosa non facile da fare, per cui se ci si riesce, onore al merito, e quindi onore ai Ginger Evil.
‘RAINMAKER’ è un elettrico brano da rocker spigliato e volteggiante che si accenta grazie ad una voce brillante e che si compatta con una chitarra piena in grado di sfogarsi poi con un assolo finale semplice ma tirato. Accordi distorti secchi e scheggiati si accompagnano ad una cantato suadente punteggiato da una chitarra in sordina andando verso un ritornello arioso per una ‘DEAD ON ARRIVAL’ frizzante che fa ancheggiare e muovere la testa. L’americaneggiante ‘SHAME OLD’ evolve in maniera leggermente ossessiva con un minimo di intransigenza irriverente e per un atteggiamento più rude, immettendo per contrapposizione poi un breve ponte melodico soffice per aumentarne giustamente la struttura in senso dinamico. Questi tre pezzi aprono l’album in maniera più dura senza diventare del tutto hard rock, ma comunque andandoci vicino e sono episodi ottimi.

Troviamo poi un appeal di buonissima qualità anche in song più aperte. ‘BLACK WAVES’ vira verso una rock-NewWave che è di stampo orecchiabile, in un senso poco commerciale ma sicuramente meno graffiante, per esempio vicino a ciò che potevano essere i Pretenders che erano rock ma non taglienti. E a questa aggiungiamo la delicata ‘FLAMES’ che ci porta a decadi fa, e la fluida ‘LAST FRONTIER’ che ha uno spirito rock-blues e un rifframa intrigante. Non si trova nemmeno un filler grazie all’abilità di questi artisti nel rendere mai statico ogni singolo pezzo; oltre al fatto che il songwriting è realizzato con l’attenzione di non abusare di clichè comuni pur vivendo appieno della modalità tradizionale di scrivere. Anche le ballate ‘Arrowhead’ e ‘Wake Me’ vibrano bene.

Questo non è solo un disco bello, è anche un valore aggiunto in questo panorama di rock fuori del metal che ha bisogno di dischi interessanti appunto non metal. Non è rock cantautorale, solitamente un po’ palloso; e non è un lavoro per amanti degli strumenti perché è tutto ben incentrato sulla forma canzone, così da renderla valida senza ficcarci tante note inutili, anche se dei gustosi assoli ci sono. L’orecchiabilità e la fruibilità leggiadra sono presenti come ottima qualità e non sono elementi negativi, perché sono sempre ispirati. Il vizio commerciale di infilare ritornelli troppo zuccherosi i Ginger Evil non ce l’hanno e così il refrain facile non lo si trova dato che in effetti questo non è easy listening.

Considerando che queste canzoni sono state scritte diversi anni fa il pregio di essere del tutto attuali è straordinario; sono state ritirate fuori dai compositori finlandesi che hanno vissuto già una carriera con altro moniker, e che all’inizio degli anni duemila con la formazione chiamata Moonshine avevano pensato queste canzoni lasciandole da parte non avendo trovato la cantante adatta, ma le ripropongono finalmente avendola scovata oggi.

In effetti questa singer ha carattere, anima e abilità interpretativa. In realtà tutto è incisivo in questa loro musica e viene voglia di riascoltare il disco perché ascolto dopo ascolto le canzoni ivi contenute diventano sempre più significative ed emozionali.

Roberto sky Latini

Rainmaker
Dead on Arrival
Shame Old
Flames
Hands move to Midnight
Arrowhead
Better get in Line
Black Waves
Whispers
Not your Fool
Last Frontiers
Wake Me

Ella Tepponen – vocals
Tomi Julkunen – guitar
Veli Palevaara – bass
Toni Mustonen – drums