Fleetwood Mac

Bare Trees

I Fleetwood Mac furono una band inizialmente solo britannica con una formazione molto blues (alcuni venivano da esperienze con lo storico John Mayall), poi in seguito fecero ingresso membri americani.

Il gruppo esordì nel 1968 e fino al 1975 ininterrottamente sfornò nuovi lavori, ma continuòo fino al 2003, anno dell’ultimo full-lenght per un totale di diciassette album da studio. La morbidezza della band non deve trarre in inganno rispetto al carattere musicale che è ricco e virtuoso, non in senso progressive, ma in senso rock totale che nel periodo a cavallo tra sessanta e settanta aveva quella verve da jam che scorreva tra le note degli strumenti sempre in movimento e dinamicamente frizzanti. In realtà la sofficità trova anche un contraltare più hard nell’alternarsi delle loro composizioni. Questo album fu pubblicato nel 1972, ben cinquanta anni fa.

La prima traccia ‘CHILD OF MINE’, assolutamente di spessore, scorre fluida ma la chitarra ritmica, per quanto alleggerita è presentissima, e ancora più presente l’elettricità della chitarra solista che ha un piglio Hard Rock; l’americanità sonora ha qualche aggancio con la stessa verve hard leggera dei Blue Oyster Cult che nello stesso anno esordirono. Altro episodio di spessore è la title-track ‘BARE TREES’ che vive anch’esso di una verve rock accesa, con una linea vocale tra le meno piatte, e un continuo intrecciarsi di inserti solistici. Questi i due momenti migliori del disco, e stranamente sono gli unici che superano i cinque minuti. Anche la più soft ‘SENTIMENTAL LADY’ offre una bella prestazione, tra la voce maschile morbida ed un senso cullante della struttura musicale, regalando quell’atmosfera poetica inglese paciosa senza annoiare minimamente.

Ulteriori episodi intriganti ma meno pregnanti sono la forsde troppo breve ‘HOMEWARD BOUND’ la cui voce femminile forse non è troppo ben messa a fuoco, mentre la parte strumentale è frizzante, e la country ‘Spare Me a little of Your Love’ che ha una sofficità naturale per poi finire con allegria. ‘The Ghost’, uno dei brani meno espressivi, è molto più anni sessanta, canzone figlia del periodo d’oro del movimento Hippy i cui ultimi strascichi culturali ancora serpeggiavano nella società, brano acustico ma comunque diretto ed incisivo, pur avendo un cantato più bucolico. L’elettricità viene prodotta dalla distorsione mezza-blues di ‘Danny’s Chant’ senza però che si instauri qualcosa di sostanzioso, sembra più che altro un intermezzo. Del tutto irrilevante la strumentale ‘Sunny Side of Heaven’ pur essendo di piacevole rilassamento. Non musicale e nemmeno recitata in maniera musicale, l’ultima traccia ‘Thoughts on a grey Day’, solo parlata dalla voce femminile di una certa signora Scarrott autrice della poesia, vecchietta inglese che viveva in una casa accanto alla loro.

Bei ritmi, chitarre e tastiere che zig-zagano con un feeling caldo e pieno. Voci in grado di interpretare bene ogni canzone, magari che avrebbero avuto bisogno di una registrazione più potente. La produzione poteva essere migliore, considerando che alle operazioni ci sta il super-iper Martin Birch, che forse però non era la massimo della sua capacità storica di produttore. In questo lavoro opera per l’ultima volta il chitarrista cantante Danny Kirwan. In un lavoro come questo le impressioni blues degli anni sessanta sono quasi sopite, c’è piuttosto una valvola di sfogo rock, un po’ campagnolo, che però sente il periodo storico in cui l’Hard Rock di Deep Purple e Black Sabbath si era già pronunciato con violenza (siamo nell’anno di uscita di ‘Made in Japan’). Non mancano i numeri valoriali, eppure anche sono presenti filler, ma del resto in quegli anni succedeva spesso un po’ a tutti, sebbene album perfetti ne esistessero (‘Aqualung’ dei Jethro Tull o ‘IV’ dei Led Zeppelin, entrambi dell’anno prima). Questo lavoro va segnalato come importante perché oltre alla bellezza intrinseca segna il passaggio della band da una attitudine più tradizionale ad una più moderna, rendendo lo stile più duro per alcune song e più da mercato per altre. Rimane agganciato al proprio periodo contribuendo ad arricchirlo e facendolo crescere come panorama rock . I Fleetwood Mac hanno avuto la caratteristica di essere stati membri in continua lite fra loro, liti appesantite anche dalle droghe,  eppure ogni disco sembra amalgamato, coerente e logico. Quest’anno si festeggia il cinquantennale di questo ottimo disco che funziona ancora anni dopo con perfetta lucidità compositiva, con pezzi in grado di essere ascoltati senza apparire oggi superati.

Roberto Sky Latini

Child of Mine
The Ghost
Homeward Bound
Sunny Side of Heaven
Bare Trees
Sentimental Lady
Danny’s Chant
Spare Me a little of your Love
Dust
Thoughts on a grey Day

Bob Welch – vocals / guitar
Danny Kirwan – vocals / guitar
Christine McVie – vocals / keyboards
John McVie – bass
Mick Fleetwood – drums