Enterprise Earth

Death:an Anthology

Dopo l’ennesimo cambio di line up,e considerate che degli elementi originali non vi è più traccia,gli americani E.E. pubblicano quest’anno questo “Death:an anthology“,un album di deathcore atipico,molto vario,tecnico, ben fatto e registrato/prodotto in modo eccelso.

Le intricate partiture delle chitarre,l’accordatura downtune degli strumenti ed una sezione ritmica di batteria e basso a tratti terremotante,fanno di questa release un lavoro piuttosto moderno con una caterva di interpretazioni vocali che,oltre a richiamare il classico deathcore stile “Infant Annihilator“,sconfinano anche in diversi clean vocals sparsi nella maggior parte dei pezzi.Anche gli arrangiamenti prog non mancano,anzi,si ripropongono spesso ed inizialmente non vi nascondo che mi hanno anche sorpreso positivamente,ma devo dire che purtroppo certi allungamenti e certi arricchimenti in cui gli E.E. si dilettano ad esprimere tutto il loro talento musicale,risultano leggermente superflui e fini a se stessi.Il disco è composto da 10 tracce,in cui deathcore,metal tradizionale e prog si fondono creando un genere che non solo colpirà gli amanti del deathcore ma sbalordirà anche i più incalliti devoti ai tecnicismi chitarristici,a cominciare con la opener “Face of fear“(la traccia iniziale che dura solamente 1:45 minuti è una sorta di intro apripista),un pezzo in cui il lavoro delle due chitarre ha veramente dello sbalorditivo,quasi ricordano il caos incontrollato degli Anomalous di “Cognitive dissonance“.

Già con”The reaper’s servant” cambia quasi tutto con dei fraseggi simil trash metal che si alternano con delle parti piuttosto slow e pesanti in cui sembra di acoltare i Black Tongue,con tanto di assoli alla Jeff Waters.Le diverse soluzioni musicali continuano a farsi strada in “Spineless” un pezzo bello pesante in cui sembra di ascoltare a tratti i Fear Factory di “Genexus” che si trasformano negli Arkaea di un tempo,piacevole e coinvolgente come anche “King of ruination“,in cui continua ad essere presente una certa similitudine al modus degli Arkaea o i Treath signal,con un gran vocione dirompente che dà il meglio di se con una profondità paurosa intorno ai 3 minuti e 40 secondi in una parte lenta e grondante di pece fusa.L’influenza metal ed elementi symphonic alla Lorna shore la fanno da padrone in “Casket of rust“,un pezzo in cui è presente anche un ritornello melodico cantato in pulito ed accompagnato da due chitarre ispiratissime che viaggiano su un blastbeat sparato e pulitissimo,quindi capite bene che sto ascoltando un lavoro talmente variegato che di death non capisco cosa abbia,ma sicuramente di grande impatto sonoro e che compositivamente di valore molto alto;proseguo questo viaggio “multicolore” con “I divine“,un pezzo dall’incedere di un carro armato che macina a 12 km/h arricchito sapientemente da un coro che intona una melodia evocativa che viene interrotto ora da un breve ma intenso blastbeat ora da un ritmo rallentato ed annichilente da far venire i brividi,il tutto diretto verso un finale di circa 40 secondi in cui un arpeggio di chitarra acustica accompagna il suddetto coro come una quiete dopo la tempesta.L’inevitabile caos di “Malevolent force” mi assale lasciandomi a bocca aperta per l’intensità e la personalità,un pezzo in cui il deathcore è lontano anni luce se non fosse per la linea vocale ma che strizza l’occhio ad una certa modernità che spiazza al punto di non farvi più capire il motivo per cui questa band viene defifinita “deathcore”,5 minuti e 43 secondi di viaggio mentale lisergico.

Eccomi arrivato a “Accelerated demise”,un pezzo strumentale che più prog non si può: partiture di chitarre da guitar heroes e stacchi tecnicamente sopraffini fanno di questo pezzo una sorta di dimostrazione di capacità tecnica e compositiva di ognuno dei componenti della band,lo avrei evitato assolutamente, un fuori contesto che contribuisce non poco a provocarmi nioia ed incomprensione,per cui inghiotto e vado avanti.Sperando di non ascoltare più intermezzi spaccascatole (per non dire altro) arrivo a “Blood and teeth“:un connubio Elton John/Periphery cantato a tratti da una voce sturalavandini,e la mia incomprensione sul perchè,anche di questo pezzo,non fa che piazzarmi al centro del cervello un altro punto interrogativo imbarazzante.”Curse of flesh” chiude questo album tinto di 1000 colori coi suoi 7 minuti di melodie struggenti ed un breakdown a metà pezzo d’effetto,tecnicamente interessante ed abbastanza atmosferico,pezzo perfetto per la chiusura di un capitolo che farà gridare al capolavoro alcuni,che farà probabilmente ridere i puristi e che farà incuriosire positivamente chi è appassionato di un genere,il deathcore,facendolo avvicinare a questa band sbalorditiva in tutti i sensi.Personalmente non sono appassionato del genere però sappiate che ho appena finito di ascoltare un gruppo di ragazzi che suona alla grande e che sicuramente colpirà gli addetti ai lavori.

Enjoy.

Giuseppe Musso

Abyss
Face of Fear
The Reaper’s Servant
Spineless
King of Ruination
Casket of Rust
I, Divine
Malevolent Force
Accelerated Demise
Blood And Teeth
Curse Of Flesh

Dakota Johnson -bass
Brandon Zackey -drums
Gabe Mangold -guitar and backing vocals
Travis Worland – vocals