DGM

Endless

Mularoni oggi fa un passo indietro e diminuisce l’ascendente che proviene dal mondo moderno sulla propria musica, creando un album che si rifà fortemente al progressive-rock degli anni settanta dal lato meno metal, e a quello degli anni novanta invece più metallico, prendendo moltissimo da quei mondi; ma poi fa un passo avanti per il fatto di riuscire comunque a risultare fresco ed attuale, e di conseguenza realizzando un impianto bellissimo. Sole ed acque ruscellanti diventano l’essenza atmosferica di paesaggi sonori pregni di vibrazioni vivificanti. Se il chitarrista-produttore è il pensatore, il risultato ottenuto appare come un lavoro corale in cui nulla è slegato e niente viene tirato più di qua che di là, in un equilibrio così perfetto da lasciare a bocca aperta. I DGM non somigliano agli altri gruppi metal melodici italiani, hanno da tempo trovato una strada personale ben diversificata, ma qui rinunciano in parte alle “loro cose” per provare a dire altro, e la faccenda riesce con una naturalezza stupefacente. Questo dodicesimo full-lenght dal 1997, pur considerando i gusti soggettivi, si colloca tra i migliori della carriera, diventando anche più significativo del già significativo ‘Life’ dell’anno scorso.

L’iniziale ‘PROMISES’ afferma subito le radici settantiane del disco, pur con una produzione e con scatti in avanti che ricordano i Dream Theater; un pezzo fluido, quasi del tutto strumentale, che fa bene al cuore. Prosegue sulla stessa via anche ‘THE GREAT UNKNOW’ che si colora in modo luminoso di sorrisi alla Kansas, aprendo un immenso scenario di suggestioni. Se poi volete sentire i Deep Purple nel Power della band, basta ascoltare ‘FROM ASHES’; e si dirà che non è proprio così, ma certo! Perché sono i Deep  come li interpretano i DGM, dato che in fondo questi italiani sono sempre ben riconoscibili. Il gruppo non si seppellisce del tutto dentro questa visione parzialmente altra da sé, e ‘Final Call’, la canzone più orecchiabile del lotto, ne è l’esempio pratico, ripercorrendo la propria linea caratteriale originale, sebbene la sezione finale cambi registro partendo dal centro della composizione in cui è posta una introspettiva aria rarefatta di stampo antico, la quale sale ad indurirsi. Ma è tanto DGM pure la suite ‘…OF ENDLESS ECHOES’ per la linea melodica e l’arrangiamento, sebbene elabori in maniera più enfatica del solito la delicatezza elegante e l’irruenza epica; essa viene usata, come spesso avviene tradizionalmente in molti dischi metal, per far terminare l’album in un crescendo di maestà, riuscendo a creare quella tensione che fa aleggiare la presenza del grande respiro, di una grandeur tonificata dall’inserimento della branca orchestrale.

Tanti suoni qui dentro contenuti fanno parte di un’epoca lontana, in special modo le tastiere, ma fanno l’affascinante comparsa anche flauto e violini, a sottolineare quell’impronta. Non mancano intrecci moderni, però l’anima si ispira alla grande musica del passato, permettendo comunque a questi artisti di farsi poliedricamente interessanti evitando di diventare meri imitatori. Va assolutamente dato plauso alla bellezza espressiva della voce, in grado di rendere suadente tutto l’insieme delle linee melodiche. E maestose le partiture soliste, piene sia di raffinatezza che, altre volte, di grinta; quest’ultima non poteva mancare, del resto sempre metallo stiamo ascoltando. Tali assoli vengono cuciti tra loro come solo un grande sarto sa fare. Nella dimensione variegata del songwriting, le parti scattanti ed elettriche si alternano a momenti più soffici, ma sempre dinamici, frizzanti; sono estroversi anche i segmenti meno duri. C’è concretezza pure nelle evoluzioni spirituali che tale sound soffia su di noi.

Se percepiamo Genesis e PFM, sentiamo però anche declinazioni del prog-metal degli anni novanta, e tutto ben pensato, fatto per circuire e irretire l’appassionato. Si potrebbe controbattere che si tratta di strutture e modalità già esperienziate nella storia del metal e del rock, eppure si comprende chiaramente che la scrittura vola alta, pur senza sperimentazione. E’ incredibile vedere come si possa essere ispirati finanche respirando la tradizione. Un’opera di spessore massiccio che versa arte e qualità tecnico-emozionale sull’ascoltatore, senza che si possa allontanarsene, senza che si possa svegliarsi dalla magia se non a fine fruizione, quando si vuole però subito rimetterlo su per cominciare nuovamente il viaggio.

Accompagnato da brividi, l’appagante piacere non è qui una chimera ma una realtà densa, materia effervescente di una musica che gronda feeling. Questo lavoro fa sentire innamorati.

Roberto Sky Latini

Promises
The Great Unknown
The Wake
Solitude
From Ashes
Final Call
Blank Pages
…of endless Echoes

Mark Basile – vocals
Simone Mularoni – guitars
Emanuele Casali – keyboards / violin
Andrea Arcangeli – bass
Fabio Constantino – drums