Destruction
Birth of Malice
I tedeschi Destruction sono quanto di più classico il thrash esprime, ma è un seguire la tradizione che anche in quest’ultimo lavoro sa colorarsi di sostanza ficcante. Non si tratta di guardare alla novità ma di assaporare la continua rinnovata capacità del gruppo a servire piatti ribollenti ancora in grado di sviscerare passaggi lancinanti e mazzate in testa. Ciò non avviene noiosamente bensì con tanta vitalità.
Il brano ‘DESTRUCTION’ si divincola con la sua chitarra svisante nel bel ritmo veloce, non è monolitico, anzi, si svolge dinamicamente con sagge variazioni sul tema. Ma quando arriva ‘CYBER WARFARE’ si serrano le fila riffiche e il muro sonoro sbarra ogni via di fuga; il suono iniziale e quello del rifframa si fanno leggermente più freddi in linea col titolo cibernetico, ma la potenza è totalizzante, aggressiva nell’estetica e acida nell’interpretazione. ‘GREED’ è un’altra irruente violenza fisica, benissimo congegnata, la cui acre mordacità viene vomitata in mezzo a chitarre furibonde e rallentamenti caustici; una cavalcata demoniaca. Lo speed estremo di ‘NO KINGS-NO MASTERS’ è ancora più rovente e infuoca incessantemente dall’inizio alla fine nel suo dipanarsi con ossessiva pervasività nell’ascoltatore, il quale viene trascinato via dalla corrente impetuosa della sezione ritmica. Anche la meno irruenta ‘GOD OF GORE’ si fa valere nell’essere trucida, in questo caso un misto di tenacia pesante e di melodia tagliente, la prima nella struttura intransigente e la seconda nella parte solista delle sei corde. Il middle-time di ‘A.N.G.S.T.’ è piacevolmente piuttosto massiccio, ma ancor più accattivante e bella la sua evoluzione a velocità cadenzata che pennella fluidità musicale sull’acredine delle incrostazioni vocali molto intense.
Nessun filler, per quanto qualche pecca ci sia, e la colpa di tali difetti è data da alcuni inserti scontati, o è per la responsabilità di situazioni soliste poco incisive che ammorbidiscono troppo l’andatura, quando invece servivano solo pennate schizzate e magari dissonanze. Alla fine chi se ne frega, ogni episodio è in tiro e funziona. Cosa dire della cover super-abusata di ‘Fast as a Shark ‘ degli Accept? Che i Destruction sono riusciti a realizzare la miglior cover di tale brano. Lo si denota soprattutto nella sezione ritmica che aumenta l’energica forza di una canzone già di per sé poderosa. Peccato non aver voluto giocare con l’intro folk usandovi la voce graffiante del cantante invece di proporlo tale e quale a quello del disco acceptiano del 1982. Sono quelle occasioni perse che invece sarebbero diventate chicche.Arrangiamenti perfetti e compattezza ideativa nella maggior parte dei casi di qualità. Troviamo sprazzi melodici sia chitarristici che dei ritornelli, ma avviene in poche occasioni e quando succede va a divenire una contrapposizione che rende più cattive le parti ad essi accostati. Molti sono i pezzi cadenzati, meno veloci, ma egualmente assassini e tonici.
I contenitori rappresentati dalle singole canzoni non si discostano da ciò che la storia ha regalato nel genere di riferimento, ma all’interno di tali strutture le accentazioni sono ricche ed evitano pastoni monotoni. Come in passato non tutto ciò della loro carriera ha ben brillato, così al contrario nemmeno siamo di fronte al loro meglio, ma comunque qui gustiamo un disco che sa proporre tracce senza inciampi e che ci ricorda che la vecchiaia non elimina la capacità di scrivere in maniera fresca, esprimendo anche l’efficace maturità di costruire passionali stati d’animo tra il maligno ed il roccioso. E’ la grinta di chi ci crede e di chi non abbandona la purezza metallara, offrendola con generosità ai metallari ascoltatori di oggi, affamati di rabbia sonora. Tipica opera che non deve uscire dai solidi binari della consuetudine, ma che proprio nel rimanervi ancorata valorizza al meglio la tradizione; è il compito di chi deve mantenere viva una realtà che possiede in sé una energia che non va fatta invecchiare e morire.
Roberto Sky Latini