Deraps
Viva Rock’n’Roll
Siamo di fronte ad un frizzante duo con leader canadese e batterista australiano, che suona un Hard Rock in qualche momento metallizzato, in altri momenti più di stampo settantiano, il tutto con una energia totalizzante ed un dinamismo elettrificato perfettamente in sintonia col songwriting intelligente e ben azzeccato. E’ un disco dall’anima rock’n’roll che però evita di rimanere semplice e lineare come fanno molti, pur piacevoli, ma sicuramente anche più standardizzati, come per esempio gli svedesi Thundermother e Crazy Lixx, i quali osano poco. In qualche modo i Deraps posseggono dell’eclettismo che li fa più variabili e mobili, creando molte variazioni sul tema e utilizzando la sei-corde solista in prolungati virtuosismi eccitati. Sono bandite le presentazioni soliste semplicemente accennate, giusto per far vedere che il chitarrista gli assoli sa farli; qui gli assoli diventano una potente presenza e incidono notevolmente sulla pregnanza compositiva.‘VIVA ROCK’N’ROLL’ è una song chiaramente debitrice della verve Van Halen, quella del tempo di David Lee Roth, ma lo è forse nel modo che fu interpretato dai britannici Hellanbach nel 1983 nel full-lenght ‘Now hear This’; un pezzo divertente e ficcante, soprattutto per merito di una chitarra giocosa e scattosa. Senso metallizzato anche nella tonica ‘BORN TO DIE’ che di nuovo fa il verso ai Van Halen con un incedere forte e deciso.
Cosa c’è di male a copiare gli Ac/Dc se lo si fa con grande enfasi e sicurezza di sé come testimonia una fiammeggiante ‘THE LEGEND OF LARRIKIN LADDIE’? Dentro tale song in effetti troviamo più di una citazione (ma anche dei Queen in un breve passaggio sul finale) ma così gustosamente pensate da rendere il tutto valorialmente efficace; e tocca sbattere la testa su e giù che non se ne può fare a meno. Non mancano le canzoni che sembrano un po’ avvicinarsi ai conterranei Triumph, utilizzando un cantato più dolce e più corale, come avviene nella bella ‘LAST FALL’, dalla suadenza avvolgente, in grado di aprire finestre ariose lasciando per un momento da parte il dimenamento che si scatena tra acuti e cavalcate sudate. Persino la ballata ‘SETTING SUN’ ha la dignità dei momenti più alti e con la sua morbidezza colora di profondità leggiadra un’opera che emerge bene in ogni sua sfaccettatura, e la sfaccettatura soft di questo episodio ondeggia tra Kansas e Guns and Roses, dove la voce ad un certo punto si alza di enfatica tonalità avvicinandosi appunto all’espressività di Axl Rose dei Guns And Roses.
Le ultime tre tracce fanno gli onori al rock-blues tanto sviluppato e rivisitato negli anni settanta e qui proposto con magico feeling, a partire dalla calda ‘BLINDSIDE’, sinuosa e palpitante, rivestita di una chitarra solista che fa piangere e vibrare lo strumento, sia nell’accompagnamento sia nelle sezioni a lei dedicate; niente di nuovo ma afflato molto sentito che ricorda tanto la passione del classicismo blues d’annata. E così nella più aerosmithiana ‘THE DAWN STOMP’ la stessa anima viene prepotentemente fuori, ma qui in modo meno sensuale prediligendo un ritmo accentato e soprattutto una vocalità tanto tirata quanto ardente. Il terzetto termina con ‘BLACK SHEEP BOOGIE’ un boogie appunto, irriverente e grasso, che sembra proprio divertire i musicisti, e non manca di divertire pure l’ascoltatore; un vero metallaro ama le radici della propria musica, e cosa c’è di meglio che rockarollare per ciondolare nei passi danzerecci che elicita un tale ritmo?
Street Metal; Hard Rock; chitarra metal; rock-blues; class metal; ma su tutto sta lo spirito da rockettaro, cui si rifaceva il kid classico degli anni settanta (e un po’ ottanta), risultando oggi vintage sia dal punto di vista stilistico che da quello sentimentale; si vive una avventura che riporta ai fasti del passato luminoso in quanto questi pezzi sono suonati proprio per valorizzarne l’essenza antica e rendere però giustizia a quella che era la vitalità animosa di quel periodo, non solo per ripeterne pedissequamente una forma bensì per assaporarla appieno. Non sono presenti banalità né semplificazioni perché si vogliono accendere tutti gli elementi costitutivi e non solo fare una operazione nostalgica; è insomma musica vissuta e non interpretata come fossero brani originali pseudo-coverizzati. Chi vuole suonare questo sound lo deve eseguire e concepire così; sarà un gruppo formato da giovani, ma sembrano così maturi e bravi da non sembrarlo affatto. Viene battuto, dello stesso genere, anche il prodotto sfornato sempre quest’anno dai pur positivi Darkness. Insomma pure un lavoro così ancorato alla storia può divenire un pregiato quadro di qualità ed in effetti si dimostra uno dei migliori capitoli del 2025.
Roberto Sky Latini