Deep Purple
Machine Head
‘HIGHWAY STAR’ è la song base dell’Heavy Metal che verrà. Riff in primo piano, pennata continua e 4/4 spianato come poi useranno fare Judas e Saxon col loro Power sporco.
Si perché questo è un brano in tutto e per tutto Power, poco legato all’Hard di Black Sabbath o Led Zeppelin, ma già i Deep avevano accennato alla cosa con la song ‘Fireball’ dell’anno prima.Gli anni ottanta sono debitori totali di questa struttura metallica. Non si può suonare questa canzone senza essere dei virtuosi dello strumento per ciò che concerne gli assoli, ma l’arrangiamento non ha bisogno di super-strumentisti ed essa sarà il viatico anche per le band minori. Questa forma era al tempo minoritaria, le band hard le suonavano ma non più di una o due ad album, preferendo di solito ritmi cadenzati o più lenti, la velocità non era ancora la dinamica più desiderata dai fan. Basterebbe questo pezzo e già il disco, il loro sesto, avrebbe detto storicamente la sua; ma c’è dell’altro.
Ci sono momenti meno pregnanti ma comunque sempre bellamente fascinosi e quindi non filler. ‘Maybe I’m a Leo’ è divertente, e un bell’assolo di tastiere rende il tutto affascinante, ma certo rimane brano minore; episodio molto bluesato perché attitudine classica dei Deep, loro specificità quella di coniugare in senso duro le caratteristiche del blues, mentre i Led rimanevano molto ancorati alla stilistica blues originaria. ‘Pictures of Home’, altro brano minore, preme su un incedere rolleggiante scorrendo in maniera più fluida, ma anch’esso come il precedente è molto incentrato sulle parti soliste, anzi ancora più che nell’altro. ‘NEVER BEFORE’ è invece una song che fa parte delle migliori, dall’animo leggero ma dalla sonorità tonica; ritmo allegro, arrangiamento solare e fresco, con una linea melodica semplice a presa diretta, per questo scelto come 45 giri, con un breve risvolto anni sessanta quando il cantato si ammorbidisce. Questa però non rientra nel doppio vinile del concerto in Giappone
Festeggiamo il cinquantennale di un album che ha fatto storia essenziale del rock duro, e senza il quale non sarebbe stato concepito il live perfetto del rock e del metal, quel ‘Made in Japan’ dello stesso anno che è diventato passaggio obbligato per ogni metallaro, e disco amato trasversalmente da ogni amante della musica, anche da un appassionato non rockettaro. Infatti su tale immenso album dal vivo sono inserite ben quattro tracce di ‘Machine Head’ su sette presenti. La prima è la citata ‘Highway Star’, mentre la seconda è la song più famosa della band, cioè ‘SMOKE ON THE WATER’ che conoscono anche i sassi, e la suonano tutti gli sbarbati che mettono su una band. Questa canzone è incentrata sull’iconico riffing che può essere considerato come una chiave che automaticamente attiva i neuroni percettivi della musica perché resta in testa a tutti. Ma un’altra caratteristica importante è la modalità molto elastica del drumming senza il quale la composizione cambierebbe anima. Gli assoli più conosciuti sono quelli della versione di ‘Made in Japan’ ed in effetti quelli da studio hanno un minor feeling. Anche il finale è diverso, e dal vivo è diventato un momento importante del pezzo con quei due accordi, mentre il finale da studio è fiacco. La terza è ‘LAZY’ che con il suo swing diventa un Rock’n’Roll, moderno per quell’epoca. Essa viene aperta da un intro virtuoso degli strumenti, si entra in sordina a scatenare l’ascoltatore tramite un feeling vibrante a cui è difficile resistere. Il cantato è piacione ma gli urletti acuti ne fanno un afflato irriverente, poi l’armonica valorizza in senso antico la song riallacciandola al blues datato. Brano perfetto per le improvvisazioni, tale traccia avrà in ‘Made in Japan’ un ruolo dalla grande dignità. La quarta ‘SPACE TRUCKIN’’si conquista anch’essa il merito di indurire l’animo del disco come ‘Highway Star’, e qui molto significativa è la distorsione della tastiera che diventa riff centrale, suono tipico di Lord. Anche il ritornello vive della stessa durezza espressiva, senza dimenticare il basso che gioca con abilità ad addensare il corpo sonoro. Questo pezzo è costruito per ampliare lo spazio delle improvvisazioni, e inoltre possiede un respiro più epico che termina il disco con uno spirito arrembante ascendendo nella tensione.
Dobbiamo considerare questo disco meno duro di ‘In Rock’ del 1970, e in tal senso quello fu più avanguardistico di questo, non solo per la scrittura, ma anche per l’arrangiamento sporco molto più aggressivo e quindi più attuale. Quello fu un esperimento audace che li portò al cambiamento verso una maturazione innovativa dopo tre dischi legati a filo doppio con gli anni sessanta, ma fu un atteggiamento che chissà perché il gruppo abbandonò subito. Questo qui invece è già in linea con molto di ciò che già nel 1972 era stato sfornato, ma rispetto all’album ‘Fireball’ c’è una migliore messa a fuoco dei pezzi. L’album è pieno di assoli che hanno tutta la verve tradizionale degli anni settanta e che hanno fatto grandi i Deep Purple. Però l’estetica concettuale della musica ha un assetto compositivo specifico che seppur nascendo da jam quale è usanza della band, prende una forma peculiare e diventa canzone dalla forte personalità. Se il progressive rock nello stesso anno è ormai espressione adulta (già dal 1971), lo stesso dicasi per il rock duro che diventa musica ben più che adolescenziale. Cinquantennale di un album integerrimo, puro, sostanziale. La storia profonda del metal passa da qui.
Roberto Sky Latini
Purple Records
www.deeppurple.com
Lato A
Highway Star
Maybe I’m a Leo
Pictures of Home
Never Before
Lato B
Smoke on the Water
Lazy
Space Truckin’
Ian Gillan – vocals / harmonic
Ritchie Blackmore – guitar
Jon Lord – keyboards
Roger Glover – bass
Ian Paice – drums