David Gilmour

Luck and Strange

Ed eccoci qua a commentare il quinto album in studio , pubblicato poco più di un mese fa dallo zio David. Mi sono preso un pò di tempo per ascoltarlo bene ed in modo approfondito, per un vecchio floydiano come me è un onore scrivere e raccontare di uno dei miei eroi della storia del rock.
Il genio della fender che ha fatto del suo modo di suonare un marchio di fabbrica unico e riconoscibile tra mille e più; sicuramente meritevole di essere di diritto parte del patrimonio mondiale dei grandi musicisti della storia della musica. Come dicevo, è un lavoro che ascolto da diverse settimane in loop, il primo ascolto non è stato chiarificatore in quanto questo, secondo me, rappresenta quasi una rottura con il passato; la componente floydiana è rarefatta, il re è nudo e si presenta come tale con tutte le sue imperfezioni e le sue qualità. Possiamo senza dubbio fare i confronti con il bellissimo On an Island del 2006 dove il debito con il passato era forte e chiaro, rappresentando così un lavoro molto legato ai dischi realizzati in passato con la band e poi il mediocre Rattle that Lock del 2015, con un timido tentativo di liberarsi dal marchio Pink Floyd con un’opera veramente arida a parte qualche sparuto episodio.

Questo cd è veramente diverso da tutto ciò che David aveva proposto fino ad ora, c’è più anima e sentimento, c’è tanto blues e rock e c’è anche del pop sofisticato ma l’anima floydiana rispetto ai lavori del passato, è inesorabilmente latente come un’ombra che staziona nell’aria e non riesce ad impossessarsi dell’artista.Prima di addentrarci nei solchi del disco, ricordare qualche notizia tecnica a corredo dello stesso non fa male e così posso tra l’altro confermare che i testi intimi e profondi che si addentrano, come nel precedente Rattle that lock, in riflessioni incentrate sulla morte e sulla vecchiaia, sulla famiglia e sulle paure legate alla perdita degli affetti sono della signora Gilmour, Polly Samson; inoltre nel disco come nella parte live, David si circonda di vecchi amici come  Guy Pratt e Tom Herbert al basso, Adam Betts, Steve Gadd e Steve DiStanislao alla batteria, Rob Gentry e Roger Eno alle tastiere; la grande sorpresa è che ad un attento ascolto potremo però ritrovare la presenza del compianto tastierista dei Pink Floyd, Richard Wright che un anno prima di morire, durante delle registrazioni effettuate a casa di David aveva inciso diverse parti musicali, una di queste è presente nella canzone che dà il titolo al presente album mentre altri accordi sono sparsi qua e là in altri brani.

Contrariamente al mio stile, in questa recensione non è possibile un commento track to track proprio perchè David in questo disco non segue un filo logico con la conseguenza che la tracklist risulta essere disomogenea e pertanto deve essere partecipata in modo meno ordinato. Possiamo quindi dire che ci sono pezzi più o meno legati al passato floyd ed altri assolutamente no, per questo motivo inzio dalla traccia 9, Scattered che con il suo battito cardiaco, le tastiere in Echoes-mood e soprattutto con l’assolo finale da post Comfortably Numb, incarna il vecchio e classico climax dello storico gruppo. Poi c’è la mia preferita, The Piper’s Call, che parla di tragedie dovute ai cambiamenti del clima del pianeta, un brano che potrebbe stare tranquillamente in album come Animals, la sua bellezza risiede nella bellissima coda strumentale, una perla di incontenibile crescendo di rockblues che rappresenta il tipico pezzo che un amante del rock vorrebbe ascoltare in un disco e soprattuto dal vivo !  La terza traccia che richiama il passato è la title track che giù di suo contiene le ultime orme terrene del vecchio e compianto amico Richard, è un blues ripetitivo ed ossessivo con un refrain che si ripete ad libitum di concerto ad un testo ispirato alla guerra in Ucraina.

Qui finisce la parte floydiana ed inizia quella di Mister David Gilmour e della sua famiglia, insieme alla figlia Romany  canta la cover Between Two Points, una canzone pop carina che però non c’entra un accidente con il resto dell’opera.  Dark And Velvet Nights suona molto Santana, un blues latino con toni languidi e misteriosi ma tutto sommato godurioso nell’ascolto. Rimangono la delicata ed intimamente rivolta all’eternità, A single Spark, e la riflessiva Sings, si tratta di due canzoni al limite dell’indie/pop/rock che sanciscono la definitiva rottura con un passato pesante che probabilmente ha finito per usurare il nostro amico che ora più che mai vuole affrancarsi da ciò che era per divenire ciò che sarà, il vero David è fatto di pane e blues, non vuole clamore intorno a se e vuole godere finalmente in tranquillità della sua famiglia, dei suoi affetti e della sua musica senza preconcetti e comparazioni con i vecchi amici e non che hanno rappresentato la leggenda Pink Floyd.Per completezza, nella versione estesa dell’album sono presenti altre quattro tracce, la prima è la dolcissima blues ballad Yes I have Ghosts cantata con la figlia,  poi c’è la lunghissima ed in presa diretta con Guy Pratt e Richard Wright, Luck And Strange (Original Barn Jam) la jam che da origine all’omonimo brano.  Le successive  Single Spark (Orchestral) e Scattered (Orchestral) si commentano da sole in quanto riempitivi inutili.

In ogni caso, omogeneo o no,  ci troviamo davanti ad un signor disco che mi piace tantissimo e continuo ad ascoltare in loop, grazie Mr. David !

Massimo Cassibba

Black Cat
Luck and Strange
The Piper’s Call
A Single Spark
Vita Brevis
Between Two Points
Dark and Velvet Nights
Sings
Scattered

David Gilmour – guitar (all), piano (1), lead vocals (2–4, 7–9), ukulele (3), Höfner bass (3, 8), Farfisa organ (3), backing vocals (2-4, 6–8), keyboards (6, 9), Hammond organ (7), bass guitar (9), Leslie piano (9), Cümbüş (8)
Richard Wright – electric piano, Hammond organ (2)
Romany Gilmour – lead vocals (6), backing vocals (2–4, 6–8), harp (5–6)
Gabriel Gilmour – backing vocals (3, 4)
Rob Gentry – synthesiser (1–4, 6, 9), keyboards (3, 6, 8–9), piano (4, 6, 8–9), organ (7)
Roger Eno – piano (1, 9)
Guy Pratt – bass guitar (2, 3, 6–9)
Adam Betts – percussion (2, 4, 6–9), djembe (3), drums (4)
Steve DiStanislao – drums (2)
Steve Gadd – drums, percussion (3, 6–9)
Tom Herbert – bass guitar (4)
Edmund Aldhous – organist and director of music at Ely CathedralE
ly Cathedral Choir – vocals
Angel Studios Choir – vocals
Angel Studios Orchestra