Dark Horizon
9 Ways to Salvation
Nove tracce nel disco come nove è il numero delle “Vie della Salvezza” citato nel titolo; dieci in realtà le song, ma una è cover. La ricchezza tecnica di questo disco italico sfocia in un’altrettanta ricchezza atmosferica, nutrita di suadenti vocalizzazioni e fornita di tensioni sonore che scrutano orizzonti scuri come dice il moniker del gruppo, sì, ma, suvvìa, anche luminosi. Dal 1998 ad oggi vediamo tanti loro dischi all’attivo e oggi la bellezza che viene espressa non ha alcuna difficoltà a farsi ascoltare in un equilibrio compositivo altamente ispirato. L’attitudine sinfonica è presente ma senza eccessi soffocanti, ed emerge più il lato hard-rock che quello pompato, evitando le decorazioni; la durezza presente non è eccessiva e comunque viene mitigata da inserti e vocalizzi spesso di stampo progressive o di class metal. Ma certo non si lima la chitarra distorta, preferendo che abbia il piglio giusto per dare tono e consistenza. In fondo stavolta fondamentalmente non si è né Symphonic né Power.
Il taglio delle canzoni è impostato all’immediatezza, però non è povero, né semplicistico; non è mai improntato all’esiguità. Il tempo medio suonato da ‘PARASITE’ permette di assaporare la densità che tastiere, chitarre e voce iniettano in un netta e chiara tonicità hard. In tal senso ‘CRAZY’ non è da meno ma si erge a maestosa guglia rocciosa con una velocità maggiore ed una intensità più diretta. Superba pregnanza anche negli episodi meno duri come ‘I WON’T LET YOU DOWN’ che espone con determinazione l’orecchiabilità di una linea cantata pienamente riuscita e che da sola varrebbe la canzone. Ci pensa ‘NOBODY’S HOME’ a infilare il segno “più|” quale intensità dinamica, per un brano che stavolta è Power per una band che tra gli aggettivi di genere trova appunto “Power”, anche se in questo disco tale demoni nazione è esagerata, se non per questo episodio; il pezzo però dà l’idea della loro passata e presente bravura anche in questo campo. Anima solare con un pizzico di malinconia enfatica la semiballata‘Our Star is born’, che si fa amare per la spigliatezza scansonata lontana da afflati sdolcinati. Bravi a gestire la cover dei Depeche Mode ‘Precious’, migliorandone l’originale, ma paragonata alle tracce proprie dei Dark Horizon, essa sfigura.
Abbiamo un pathos di fondo che non viene mai meno. Lo realizza certamente l’ugola del nuovo entrato al microfono, ampia e virtuosa, in grado di interpretare ariosamente ogni momento dell’album. Il cantante usa molte volte l’acutizzazione dei suoi accenti tirati. Anche il nuovo batterista (già in realtà presente nel lavoro ‘Son of Gods’ del 2001) apporta grande personalità all’album, una cosa assolutamente infatti da sottolineare è la decisione di creare linee di batteria sempre diversificate; con precisione notiamo che ciò succede per ogni singola traccia, ognuna di esse contiene una struttura di drumming diversa dall’altra, e ne caratterizza con forza l’essenza, diventando uno degli strumenti principali e fortemente necessari all’anima del pezzo.
Le due personalità riescono a fare delle composizioni frizzanti e variegate, in grado di donare quelle ampiezze che sono ereditate dal rock settantiano mescolandole ad un certo heavy ottantiano; tali radici non vengono annacquate bensì modernizzate, lasciando che esse traspaiano con potenza in quanto valore aggiunto. Si tratta di un lavoro di metal melodico, quel tipo che nulla però ha a che fare con il Pop, nemmeno di sguincio. Veramente un signor album, costruito con cura, amore e dedizione, e se ne deduce facilmente che il tentativo, riuscito, è stato quello di provare a eliminare il più possibile fastidiosi deja-vù. E’ bene considerarlo perché il tipo di metal suonato qui è uno di quelli che più rischia questo tipo di cadute. In trent’anni questo combo ha cambiato un po’ pelle, ma è oggi, come anche nel precedente ‘Aenigma’, un insieme di musicisti che fa musica senza tempo, che scrive gemme luminescenti.
Roberto Sky Latini