D-A-D
Speed of Darkness
La verve leggermente acida della voce e il sound rock’n’roll vizioso dell’hard rock da strada in qualche modo è conservato, ma i bei tempi di inizio carriera sono belli che andati, e quei dischi valoriali non vengono eguagliati. La personalità comunque rimane e si trovano anche pezzi divertenti in quest’ultima fatica targata 2024. Disco piacevole ed accattivante, non possiede però il fascino e l’appeal energico dei grandi dischi. Un po’ di addomesticamento si percepisce e le variazioni sul tema delle singole canzoni sono solo accenni. Trentotto anni dall’esordio e tredicesimo full-lenght che scorre gradevole senza mai troppo scuotere, perfetto da sentire in auto lungo l’autostrada e che non necessita di concentrazione.
Ad aprire le danze rock’n’roll ci pensa ‘God prays to Man’ che suona alla Aerosmith con quel tono rock-blues rotondo e non eccessivamente aggressivo, che si fa hard d’annata alla Ac/Dc, e che anche se non è una delle migliori tracce del lotto, ha però dalla sua un po’ di gustosa sporcizia nella chitarra distorta. Bella invece ‘1ST, 2ND & 3RD’ che aumenta la sua cattiveria ed anche aumenta la raffinatezza di certi elementi, tipo ad un certo punto la chitarra liquida che accompagna il cantato, oltre che avere una migliore linea vocale. Cullanti e benefiche stanno le due tracce più fluide, sia ‘THE GHOST’ che ‘CRAZY WINGS’, entrambe dallo stile soffice e cadenzato, inconfondibile nello stilema della band; non sono brani metal e nemmeno hard-rock, rimangono semplicemente dei brani orecchiabilmente rock, però efficaci sia nell’atmosfera che nella tensione emotiva che suscitano; la prima meglio della seconda.
Il tiro metallico emerge bene in ‘EVERYTHING IS GONE NOW’ come un buon punk alla Therapy? che non segue la scia dei compromessi altrimenti troppo esplicitati in questo disco, e finalmente tira fuori un assolo aggressivo. Anche la gustosa ‘WAITING IS THE WAY’ sa estrapolare un po’ di sana grinta acida, anche se l’orecchiabilità pre-ritornello appare un po’ fuori luogo, diluendo il tasso incattivito che le strofe e il ritornello, questo sì ironicamente bellicoso, esprimono. Divertente il rock/punk adolescenziale di ‘Live by Fire’ sebbene sia una traccia minore, carina e dal buon feeling ma non essenziale; fa sorridere il suo riff iniziale che in automatico fa pensare a ‘Mama Kin’ degli Aerosmith, ma che poi rivela di non avere quel carisma.
Non è male ‘Keep your Mother down’ ma sembrano i Rolling Stones senza grande ispirazione. I filler veri e propri non mancano come la debole ‘Head over Heels’ che sembra adatta da cantare tra amici ma non utile per i concerti; la stantìa ‘Strange Terrain’ dal doom anonimo cantato come uno pseudo-stoner senza scintilla e una evitabile ‘In my Hand’ dal boogie blues-rock a voce Grunge che va a motori spenti in salita.La capacità gestionale di un disco così rappresenta il mestiere di chi sa mettere a frutto la propria maturità professionale, ma il cuore è non presente in tutto l’insieme.
Forse per accontentare sia i rocker che il mainstream li fa stagnare in un ambito mai davvero soddisfacente per l’ascoltatore, e non è che questo succeda da oggi nella discografia dei Dad. La noia non si presenta ma neanche la vera eccitazione.
Il disco esce più volte fuori dai binari del rock duro, ma questo non può essere mai un male se il songwriting ha pregnanza, qui purtroppo anche alcuni non-riempitivi latitano caratterialmente, e alla fine è chiaro che non si è costruito un lavoro di grande livello. Non merita voto alto, fortunatamente nemmeno la semplice sufficienza, ma non è l’opera di chi ha un nome da far rispettare.
Roberto Sky Latini