Cripple Black Phoenix

Banefyre

Scrivere una recensione sui Cripple Black Phoenix non è mai una cosa semplice, vuoi perché non ci sono particolari punti di riferimento e vuoi perché hanno una capacità di sapersi infilare nei meandri della mente umana davvero notevoli. Ma è proprio lo stile della band ad essere abbastanza inclassificabile e in grado di muoversi su diverse dinamiche espressive e lidi musicali variegati.La maggior parte della critica li pone nel calderone del new prog-rock, ma personalmente non sono molto d’accordo con questa definizione dato che i Cripple Black Phoenix non hanno molto in comune con band come Rishloo, Soen, Karnivool, Leprous e Halen, tanto per fare qualche nome. Gli inglesi partono da territori completamente differenti rispetto alle altre band su citate e se hanno qualche punto in comune, lo si deve alla pura casualità, infatti il substrato da cui la band muove, affonda le sua radici nello sludge e nello Stoner. Ascoltandoli, ad un primo impatto, non si direbbe, eppure se si affronta il suono in maniera certosina, si può notare come alcuni riferimenti siano piuttosto chiari, anche se passanti attraverso una rilettura che è decisamente più vicina al post-rock che allo sludge o allo stoner in senso stretto.

Ma i campi in cui i Cripple Black Phoenix si muovono sono davvero tanti e quindi parlare di generi di riferimento ha veramente poco senso, mentre ha un suo perché la definizione di prog, dato che la loro concezione musicale è totalmente free, così come lo è la formazione della band, che varia da sempre, da un minimo di cinque elementi, fino ad arrivare a nove, ma è soprattutto lo sviluppo musicale che non si limita a vivere dei soliti cliché, andando a prendere spunto da tutto lo scibile che il mondo della musica sa donare. Giungono così al dodicesimo disco, un album che parte esattamente da dove si erano fermati con il precedente Ellengæst, infatti questo Banefyre ne ripercorre parzialmente l’ossatura di base per poi svilupparsi in lidi e territori che ampiano il raggio di azione musicale ed emozionale di cui solo loro sono capaci. Di fondo siamo di fronte, volendo sintetizzare al massimo, ad un post-rock fortemente influenzato dal post-punk tanto caro a formazioni anni 80 come Siouxsie And The Banshees, Bauhaus, Cocteau Twins e parzialmente ai The Cure, ma il tutto viene rielaborato secondo le melliflue sensibilità dei Nostri, che riescono a fondere tutto questo con influenze che vanno dal cantautorato un po’ dark alla Nick Cave, passando per alcune influenze più dark blues di Tom Waits o le dilatazioni emozionali e musicali di Jeff Buckley; insomma, di carne al fuoco ce n’è davvero tanta e il bello è che i Cripple Black Phoenix hanno la capacità non solo di fare poco fumo, ma di riuscire a servire un arrosto molto saporito e tenero.

È davvero difficile riuscire a descrivere i salti emozionali che ci sono dentro i solchi di Banefyre perché si passa da momenti più incalzanti e duri a momenti in cui è la pura essenza eterea a farla da padrona. Una cosa è certa, il disco non annoia mai e riesce a sorprendere ancora e ancora anche dopo innumerevoli ascolti. Ascolti che continuo a fare anche mentre sto scrivendo questa recensione, perché nelle pieghe tra le note e le pause, tra una melodia e un’altra, si nascondono altre intuizioni e infiltrazioni musicali che vanno ad abbellire il tutto senza mai risultare pesante o pacchiano.Una forma d’arte a tutto tondo, capace di unire la musica con la visione e la visione con la fantasia e il tutto unito costruisce un mondo onirico completo, stravagante e di una rara bellezza che sa offrire riparo e conforto per ogni sfumatura del nostro animo.I Cripple Black Phoenix sono nati per stupire e devo dire che riescono sempre nel loro intento, non risultando mai banali o scontati, anche nelle soluzioni più semplici c’è quel guizzo di genio che si nasconde dietro la figura di Justin Greaves, mastermind del gruppo e creatore di tutta l’ossatura di cui si nutrono le composizioni della band.

Un progetto creato nel 2004, quasi per gioco, per dare sfogo ad alcune idee che frullavano nella testa di Greaves da diverso tempo, idee che non potevano essere espresse nella band con cui suonava dato che totalmente fuori genere. Da quelle registrazioni fatte nel suo home studio, con l’aiuto del bassista dei Mogwai, e con la sola idea di mettere giù qualcosa che non poteva riportare nelle band di provenienza (Electric Wizard, Iron Monkey e Teeth Of Lions’s Rules The Divine), siamo qui, ancora oggi a parlare di una band nata quasi per gioco e capace di essere concreta e prolifica come poche altre, sfornando dischi di qualità sempre eccelsa e spostando l’asticella di questa qualità sempre più in alto.I Cripple Black Phoenix sono creatività liquida allo stato puro e, se in molti casi il cambiare spesso della formazione può rappresentare un grosso problema, per loro è decisamente l’asso nella manica, capaci come sono di mettere a frutto le sensibilità musicali e personali di ogni musicista che si approccia a questo collettivo.
Cercate qualcosa di diverso dai cliché che la musica ci propone quotidianamente? Date un’opportunità ai Cripple Black Phoenix e non resterete affatto delusi.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

 

Incantation For The Different
Wyches And Basterdz
Ghostland
The Reckoning
Bonefire
Rose Of Jericho
Blackout77
Down The Rabbit Hole
Everything Is Beautiful But Us
The Pilgrim
I’m OK, Just Not Alright
The Scene Is A False Prophet
No Regrets (bonus track)

Belinda Kordic – vocals, percussions
Joel Segerstedt – vocals, guitar
Justin Greaves  –  guitar, bass,drums sega, samples
Andy Taylor – guitars
Helen Stanley  –  piano/ synth/monocordo/trumpet

 

Special Guests:
Shane Bugbee – vocals on track1