Black Spiders

Cvrves

Il rock’n’roll è sempre l’arte del dinamismo e della ridondanza riffica, una scorribanda fatta per infliggere colpi diretti che arrivino subito al punto. Nella maggior parte dei brani è così che si comportano i Black Spiders, utilizzando l’approccio semplice e lineare del metal più rockettaro e antico, con un minutaggio mai troppo lungo. Lo si fa considerando però l’essenza Grunge e Stoner arrivato successivamente e qui mescolato bene, rifacendosi comunque soprattutto ai tempi del più vecchio hard rock. Sembrano più americani che britannici quali in realtà sono, però al loro quinto lavoro dal 2011 possiamo dire che la loro interpretazione del genere è perfettamente rodata e funzionante. Effettivamente la fruizione dà gusto.

‘NEVER ENOUGH’ fa partire in quarta l’album con una verve da aggressivo Garage Rock, arrembando nella riffica e nel ritmo e con un ritornello corale di stampo punk. Il riff compresso e rovente di ‘COOL REAPER’ è sostenuto dalla ritmica ballabile ma pesante che energizza il cantato corale ed insistito e poi arriva un assolo elettricamente tagliente dall’urgenza espressiva. Con un andamento più cadenzato ‘SORRY NOT SORRY’ più modernamente si rifà al Grunge mediato dai Foo Fighters, e lo fa con lo stesso spirito caldo dei pezzi precedenti non lesinando compattezza anche se qui il cantato è meno frizzante scegliendone uno più leggermente introspettivo. Lo spirito divertente dello Street metal si accende con ‘TOM PETTY’S LIP’, legato sempre alla stilistica degli anni settanta in senso garage-rock, ed è ancora una volta l’aria del rockettaro ad averla vinta.

Si trova durezza anche di stampo più moderno; lo dice bene l’ossessiva ‘’OBEY’, una scheggia di soli 2 minuti e venti secondi ma significativa. I momenti meno briosi sono gestiti in senso più novantiano che settantiano, ma in ‘Idol Hands’ troviamo però una particolarità interessante, notando che è gestito da un arrangiamento Stoner/grunge eppure con un cantato e dei riff che ricordano Ozzy Osbourne. Ma tra gli episodi che cercano la suadenza piuttosto che l’irruenza c’è una calda e bluesata ‘DIA DE MUERTOS’, dal pathos stoner e con un rallentamento psych dall’umore evocativo quasi doom; una song densa che diventa uno dei migliori episodi dell’album. L’inglesità punk viene fuori con ‘Go’, non è tra le tracce migliori però dà il suo bel colpo significativo coprendo efficacemente il proprio ruolo. Il brano semicommerciale viene espresso con ‘Up all Night’ segno che si cerca anche una orecchiabilità accessibile pur rimanendo del tutto rockeggianti.

L’ascolto porta il timbro del rock verace, ma non il rock’n’roll basato sulla vecchiaia vintage, le cose del passato vengono ben processate nei suoni moderni, al modo dei Foo Fighters, ma senza la noia che quelli producono per metà di ogni loro album, qui al contrario le composizioni brillano sempre. Non ci sono filler. Ogni cosa regge sul rifframa corpulento, le idee sono interessanti, non mancano le incursioni soliste e l’ugola ha la capacità di essere sia impattante che melodica. Un disco valoriale all’interno di un ambito che non è facile rendere sempre interessante, ma questi musicisti vi riescono e sono inoltre in grado di creare un’aria spontanea che fa scorrere il tutto con grande naturalezza.

Roberto Sky Latini

Never Enough
Cool Reaper
Sorry not sorry
Idol Hands
Tom Petty’s Lips
Castille de la Roja
Dia de Muertos
No Superman
Go
Up all Night
Curses
Obey
The Mofo Sauce
Rotten to the Core

Pete Spiby – vocals / guitar
James Evans – guitar
Nate Digby – bass
Adam Irwin – bass
Wyatt Wendels – drums