Black Altar / Vulture Lord

Deathiah Manifesto

La musica metal spesso usa, nei generi meno mainstream, la confezione discografica dello split, dove due gruppi presentano nuove produzioni, di pochi pezzi, senza aspettare di averne per un intero album. E’ il caso di questo lavoro che offre due band estreme per quattro tracce ciascuna. I Black Altar, polacchi, fecero la loro prima uscita ufficiale con un ep nel 2000 intitolato ‘Wrath ov the Gods’, e hanno pubblicato tanti split ma solo due full-lenght; mentre i Vulture Lord vengono dalla Norvegia ed esordirono nel 1995 con l’album ‘Profane Prayer’, ma anch’essi hanno all’attivo solo due full-lenght.

L’intro dei Black Altar ha tutti i connotati oscuri  degni di un album infausto del genere Black, e poi c’è il finale Outro, meno opprimente, che riduce i veri momenti a solo due canzoni. La compressione espressiva dei Black Altar si esprime perfettamente nella loro esecuzione molto sulfurea che vede sia in ‘Sacrilegious Congregation’, sia in ‘NYX’, una compattezza soffocante, sostenuta da un tappeto di blasting poco vario, ma che dona una buonissima atmosfera evocativa. Se il primo pezzo è più statico, il secondo inserisce una struttura più variegata sebbene non dia mai segno di aperture vere e proprie, ma amplia comunque leggermente il suo afflato sonoro arricchendo il piacere percettivo di chi ascolta. In particolare ci sono interessanti cambi di riffing ed è netto il senso comunicativo del basso. Il growling è gestito con una sonorità espansa e non troppo secca, così da risultare meno roccioso.

I Vulture Lord si spendono di più e presentano quattro brani fatti e finiti. E’ un tipo di Black Metal più diretto e violento, più tipico e più vicino ai Venom, con una buona dose di attitudine Death e Punk che li rende maggiormente impattanti.  La cover dei brasiliani Vulcano ‘DOMINIOS OF DEATH’ (1986) è un’ottima performance d’attacco che invade il campo con ferocia. Ancor meglio s’imbizzarrisce ‘HARK THE HYMNS OF WAR’ grazie al proprio ficcante black’n’roll che incede senza tregua. ‘Bloodstaine Ritualknive’ cambia registro e diventa più sporco, con un drumming asfissiante e un cantato growl animalesco, mentre prima era meno brutale, e quindi si aumenta il tasso di malevola acidità; però, per quanto efficiente, questo episodio appare leggermente scontato e non in grado di eccitare gli animi come i primi due. Molto interessante lo strumentale ‘Usurper thy Name is Death’ che gioca con cadenze fluide di suoni incombenti, poggiati su fiati che rendono l’aria come da catastrofe imminente, come da giudizio universale distruttivo; senza batteria e senza chitarre, ma con una calda oppressione da cielo che cade e il cui piacere è diminuito solo dal fatto che tale spunto sarebbe potuto essere sviluppato di più.

L’opera è di qualità, non vi sono perdite di feeling, tutto nella tradizione ma costruito con ispirazione e funzionalità. Il Vulture Lord hanno messo in questa loro parte vari lati della loro essenza, e hanno reso quindi più intrigante l’ascolto. I Black Altar invece, riducendosi a due momenti, hanno scelto di regalare un unicum espressivo, però mettendo insieme entrambi gli ascolti c’è una pienezza globale che può soddisfare molti, facendo sì che ci si possa gustare entrambi gli approcci, parimenti validi, offrendo diverse tonalità che del Black più antico sono l’emblema. I colori utilizzati però descrivono cupamente la morte, del resto è così che essi hanno chiamato lo split: “Manifesto della Morte”.

 Roberto sky Latini

Black Altar
Intro
Sacrilegious Congregation
Nyx
Outro

Shadow – vocals  / bass
Necro (Enshadowed) – guitars
Thomas Eriksen (Mork) – guitars
James Stewart (Vader) – drums

Vulture Lord
Dominios of Death
Hark the Hymns of War
Bloostained Ritualknives
Usurper thy Name is Death

Sorath – vocals
Enzifer – guitar
Malphas – bass / guitar
Uruz – drums