Birth
Born
Bello ascoltare il progressive-rock anni settanta, anche quando vintage come quello degli americani Birth, oggi al loro debutto. Soluzioni sentite e risentite, ma che quando fatte bene come in questo caso, non fanno rimpiangere i mostri sacri di allora.
Leggermente derivativi, le vecchie guardie più importanti sono quelle cui si rifanno nettamente. Soprattutto Genesis e Camel, ma anche Yes e Caravan, per un viaggio che trasporta indietro nel tempo, mantenendo sempre la raffinata qualità di base del proprio songwriting. La band è di San Diego però il sound è tipicamente britannico, vissuto convintamente da musicisti che sembra vogliano ripercorrere quelle antiche strade affondandovi in maniera completa. Gli stessi musicisti dicono di seguire ed amare sinceramente anche il prog italiano di quegli anni, e in effetti si scovano tracce pure di PFM e Banco.
La trama circolare delle tastiere della strumentale ‘Birth’ è ipnotica e suggestiva, scorre con fluida ariosità, e immette subito nel portale temporale del periodo d’oro. Le informazioni culturali anni settanta essi le prendono anche fuori dalle realtà strettamente Prog, bevendo dal lato prog dei gruppi hard, se consideriamo che in ‘Descending Us’ (uno dei pezzi cantati) quasi si ricopia il riff di ‘Child In Time’ dei Deep Purple in un certo passaggio, e che l’arpeggio chitarristico di ‘Another Time’ accenna piuttosto chiaramente a quello di ‘No Quarter’ dei Led. Tra le cose maggiormente valoriali troviamo la lunga suite di circa nove minuti ‘FOR YESTERDAY’, la cui chitarra ritmica acustica accompagna un paesaggio sognante in cui voce e strumenti rendono al meglio le abilità costruttive e ideative di ciò che è questo combo. Anche gli oltre sette minuti di ‘COSMIC TEARS’ (altra strumentale) hanno grande fascino, con l’avanzata ossessiva su cui la chitarra elettrica sa modellare con precisa cognizione di causa un senso narrativo prima un po’ alla Pink Floyd e poi alla Yes; è la song più dinamica, con un certo respiro tonico e scuro. Una lieve maestosa vena dark emerge da ‘LONG WAY DOWN’, in cui chitarra e vocalità tendono a incrementare una dura corposità, facendosi meno rarefatte delle altre composizioni; in particolare la chitarra fa evoluzioni grintose tipiche delle lunghe session utili in sede live.
La caratteristica principale dell’atmosfera elaborata è l’emanazione soft dell’insieme. Anche quando ci sono distorsioni o assoli più tonici, si mantiene una morbidezza suadente quale essenza prima. L’altra caratteristica è la limitazione degli spazi dati al cantato, sebbene quattro tracce su sei abbiano la presenza della voce, si prediligono gli andamenti strumentali, per una immersione che sia magicamente avvolgente, usando anche mellotron ed archi. L’ugola si conforma al senso sonoro, anch’essa esprimendosi con afflati tenui; e in effetti i colori vivaci sono affidati soprattutto alle pari soliste, in particolare della sei-corde. Non appare alcuna fuga verso il futuro in questo bellissimo viaggio, per cui è assente la sperimentazione, ma è assente anche il modo moderno di gestire il groove. Tale tipo di musica era sperimentale nei ’70, ora è solo una rivitalizzazione di quei concetti, rendendo chiaro di come quelle concezioni ormai siano metabolizzate profondamente, perdendo quel senso di novità tanto forte allora. Eppure la malìa del prog classico è rimasta immutata, e si viene risucchiati positivamente pure da questo disco ricco e suggestivo.
Roberto Sky Latini
Bad Omen Records
www.facebook.com/Birth.prog
Born
Descending Us
For Yesterday
Cosmic Tears
Another Time
Long Way Down
Conor Riley – vocals / synth / keyboards /acoustic guitar
Brian Ellis – guitar / electric piano / percussions
Trevor Mast – bass
Paul Marrone – drums