Banco del Mutuo Soccorso
Storie Invisibili
Il mitico gruppo italiano dal 2016 riprese il suo percorso iniziando con una opera di valore quale fu ‘Transiberiana’ del 2019, e in leggera flessione poi, ma qualitativamente ancora di spessore, ‘Orlando’ del 2022. L’album odierno invece rappresenta un vero crollo, un lavoro non degno del nome che si porta. Forse il peggiore album di tutta la carriera del gruppo. L’impostazione è vicina alla musica leggera, sebbene si percepisca l’origine progressive. Ma la cosa non sarebbe negativa in sé, il risultato negativo deriva tutto da una emanazione di intenti non esaustiva, e da un grossolano difetto d’elaborazione.
“STUDENTI” è una bella traccia per la ritmica frizzante, per il cantato alla Enrico Ruggeri e per la parte strumentale ben arrangiata; è luminosa, dinamica e perfetta per la sede live. Tra i momenti peggiori sta ‘Il Mietitore’ per la sua linea melodica davvero pessima; sarebbe un pezzo tonico, ma basandosi tutto sul cantato, e un cantato fallace, non riesce a donare ciò che pare promettere. Le parti soft de ‘Il Pittore’ e di ‘Senza Nuvole’ sembrano poter dare di più, ed infatti in questi due casi il suono della voce, ricordando il Di Giacomo del passato, appare meglio gestita, ma è il songwriting generale, comprese la composizione delle linee cantate, a non offrire pregnanza reale, per brani che si muovono solo come tracce embrionali statiche; addirittura la seconda manca di sostanza strumentale con un arrangiamento povero tipico da musica leggera italiana.
Meglio la parte soffice di ‘L’ULTIMO MORO DELL’ALAHMBRA’ che invece diventa uno dei migliori episodi dell’album, grazie ad una migliore modulazione vocale e ad una più riuscita integrazione con la parte strumentale, qui più evoluta. La tradizione classicamente prog si può intravedere nell’accesa ‘SARA’ OTTOBRE’ che funziona bene e dove la strumentazione dice la sua in modo eloquente con una chitarra di tutto rispetto. Vero e proprio filler risulta ‘La Casa Blu’, dove l’apparente fine punteggiatura strumentale va a divenire un tessuto piatto sotto una linea melodica senza anima, oltre ad immettere un irritante effetto elettronico davvero puerile. Ed è ancora peggio quando la band vuole trasformare una filastrocca in un pezzo serio senza riuscire nell’intento, con un frammento sonoro quale è ‘Cena di Natale’, breve e semplicistico, che copia male Branduardi e che non porta da nessuna parte.
Prendendo poi ‘Spiegami il Cielo’ ad esempio esplicativo, essa dimostra come un settore solista un po’ schizzato pur tecnicamente buono, se distaccato umoralmente dal resto, fine a se stesso, non sia sufficiente a sollevare un brano in cui la parte cantata è impropria e mal pensata; tra l’altro con una parte della strofa ricopiaticcio del ritornello di ‘Non Amarmi’ di Baldi/Alotta (1992). Oppure ‘Capo Horn’ dove la melodia migliora, comunque apparendo poco ispirata, con un finale in cui l’enfasi non prende le giuste sembianze appassionate.
Il disco non funziona perché quasi sempre le parti cantate risultano forzate da tutti i lati; sia per la non riuscita integrazione con la parte strumentale, sia per metriche mal definite, e anche per una interpretazione vocale piuttosto monotona e poco modulata. Momenti cantati non perfettamente centrati v’erano anche nei due album precedenti, ma qui si supera il limite accettabile. Va chiarito che invece le sezioni musicali, almeno nella maggior parte dei casi, sono belle, azzeccate, interessanti, molto fluide, solo che solitamente rimangono incompiute, gravide di apparenti sviluppi che non vengono affrontati.
Qualcuno potrebbe dire che dal Banco, preconcettualmente aspettandoci ampie sezioni strumentali, si viene delusi per l’assenza in tal senso, ma non è così, è proprio che le canzoni non funzionano. In una dimensione non di suite, ma di forma canzone pensata al minimo, ciò che conta è l’equilibrio, la parte cantata affiora di più in tale forma ridotta e se essa non è studiata adeguatamente rovina l’insieme. Il Banco ha deciso di essere semplice e questo equilibrio non è stato messo in campo. Non viene voglia di rimettere su il disco appunto solo per il cantato che diventa fastidioso. Va poi detto che nemmeno le liriche appaiono poetiche, termini e parole, tra il didascalico e il tecnico, danno un senso di freddezza e di mancata atmosfera. Si tratta di disco senza feeling, molto spesso prevedibile; un lavoro che offre tra le righe dei passaggi di buona fattura che però cuciono male un resto non creativo.
Tre soli buoni brani è troppo poco per raggiungere la sufficienza.
Roberto Sky Latini