Avantasia
Here be Dragons
L’esistenza di un progetto come questo ha di nuovo un senso, tale è la sua pregnanza, che scrivere un disco non fulgido perderebbe il significato della sua esistenza; più che in qualsiasi altro disco deve perciò essere evitata la presenza di filler. Dalla Germania gli Avantasia presentano nella loro storia di ventitré anni un alternarsi di lavori eccellenti con altri di valore medio, certo mai scadenti, ma in effetti non tutti da posizionare nel podio più alto. Un saliscendi che appare un po’ spiazzante, poco comprensibile, ma è così che sembra funzionare per il musicista teutonico. Per esempio, alla flessione del piuttosto ordinario ‘Angel of Babylon’ del 2010, con diverse pecche, avevano fatto seguito tre colpi magistrali: il magnifico ‘The Mistery of Time’ (2013); poi leggermente meno superbi ma sempre corroboranti ‘Ghostlights (2016) e ‘Moonglow’ (2019), per passare di nuovo a deludere col penultimo ‘A Paranormal…’ del 2022, un po’ troppo caramelloso, che mescolava begli affondi ad un senso talvolta troppo commerciale, di mestiere. Nella recensione di allora mi augurai un recupero di magia e qui, al decimo capitolo, la magia è avvenuta, siamo ad uno dei rettilinei imboccati con maggiore brillantezza e qualità, per una essenza che appare davvero ispirata.
Non è un concept, ma poco importa, per molti appassionati la musica conta sempre più del testo. Eleganza e manierismo debordano fastosamente anche grazie agli ospiti scelti, sempre capaci di interpretazioni sentite, come non si può farsi ammaliare per esempio dalla raffinatezza di Catley dei Magnum o dal calore di Atkins dei Pretty Maids? Dinamismo e intelligenza scritturale sono la base, altrimenti nulla si reggerebbe, e però conta molto che l’autore abbia avuto la bravura di pensare ogni volta la persona giusta al microfono.Anche se il disco si apre con una canzone AoR/Pop Metal, una scoppiettante ‘Creepshow’ vicina a Bon Jovi, il mood dell’intero album è tutto un altro, infatti di base l’impostazione risulta Power, pur se con inserti sinfonici e di hard rock, e infilando pure un alito folk in ‘Avalon’ alla maniera di Gary Moore. ‘Creepshow’ non è tra gli episodi migliori ma è comunque un bell’inizio, per una song che funziona e dispone positivamente all’ascolto. Ma già dalla seconda traccia, ‘HERE BE DRAGONS’, enfatica e dall’ampia visione panoramica, si entra nell’atmosfera più magniloquente e luminosa di un sound senza pecche ideative, per un approccio finalizzato alla grande musicalità, senza contare che la bellezza dell’ugola di Tate è ogni volta suggestiva; un ritmo medio che racconta una splendida mini-suite di class- metal.
La potenza del Power più spigliato vibra in tre pezzi, due dei quali gustosissimi, uno di essi è la solare ‘’THE MOORLANDS AT TWILIGHT’, parecchio neoclassica, che esplode in mille scintille allegramente toniche con un Kiske che non rinuncia alle sue virtuose escrescenze. E poi di nuovo scattanti con la fibrillante ‘UNLEASH THE KRAKEN’ che getta lapilli infiammati ad altezze tonanti per scuotere muscoli e anime rockettare, per un brano in effetti Power ma più heavy che neoclassico, e non importa che alcuni accordi ricordino gli Scorpions. Il terzo dei tre power-attack è ‘Against the Wind’, deliziosa ma meno evocativa e anche meno energetica. Alto valore anche per ‘THE WITCH’ che in maniera cadenzata avanza per una più introspettiva melodia, suadente e dolce e piena di pathos, per poi alzarsi in un ritornello corale che pizzica i sensi in una contrapposizione ombra/luce che funziona superbamente. Niente filler appunto, anche se l’ultima traccia ‘Everybody here until the End’ è l’unica che faccia perdere forza all’opera, non una chiusura degna dell’intero viaggio, anche se non si tratta affatto di una brutta canzone, ma traspira di deja-vù. Una curiosità: nel secondo pacchetto (digitale o vinile) dove ci sono tracce live o versioni diverse, c’è l’accattivante brano power ‘Return to the Opera’ dal sapore niente male, ma è il testo la cosa strana…di che parla? Messaggio per i discografici che spingono sempre l’artista a fare cose?
Si nota bene l’attenzione che Sammet mette nelle sue canzoni, tutte curate per avere continue accentazioni che attirino l’attenzione, e riuscendoci in modo artistico e non artificioso. Da un lato potremmo dire che è un disco rassicurante per chi ama il genere, dall’altro però capiamo che qui dentro è contenuto quel qualcosa in più che rende il full-lenght più fresco e più sostanzioso di quello che si trova nella media del panorama di un tale tipo di sound. Un campo super-inflazionato questo del Power, certo, ma che riesce sempre a trovare ancora momenti di gloria, e mantenere spesso le sue promesse quando viene vissuto così. E il merito è tutto di Tobias.
Roberto Sky Latini