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Arbeit Macht Frei

L’esordio di questo grande gruppo italiano inizia subito con un titolo forte, la scritta posta all’ingresso dei campi di concentramento nazisti: “Il Lavoro rende Liberi” e dentro la confezione  la presenza di una pistola di cartone.

I testi sono molto impegnati ma anche la musica estremizza la propria espressività in forme che diventano difficili da digerire per chi non è educato alla musica di un certo livello, con impulsi variegati di stampo prog-rock che però portano verso un dinamico free-jazz con pennellate anche elettroniche, a volte in un insieme cerebrale, a volte umorale, a seconda dei rivoli che costruisce. E’ musica d’avanguardia molto più di ciò che fanno PFM, Banco o Le Orme. Sei pezzi per circa 37 minuti intensi. Neanche la copertina, che rappresenta un pezzo di bambola con lucchetto e pezzi assemblati. è rassicurante o accattivante. L’album fu una irruzione politico-sociale oltre che musicale, un manifesto intellettuale tra i più espliciti e duri nel campo del rock in Italia. Erano gli anni post-figli dei fiori e si era ancora ben dentro l’evoluzione culturale della liberazione giovanile, che aveva ancora tre/quattro anni davanti a sé prima di frenare la spinta propulsiva, tra proteste, contraddizioni, tentativi di cambiamento, speranze.

Lato A. Il livello generale è così alto che la pur ottima apripista ‘Luglio…’ appare come forse il pezzo meno intenso; in realtà è solo il brano meno sperimentale dell’album. Inizia con la recitazione di una poesia araba e la musica deriva da una motivo popolare ebraico chiamato ‘Jerakina’. Il tema è dedicato al popolo palestinese. Voci e sassofono acido sono la parte meno strutturata e creano un caos affascinante, ma ciò che è più strutturato è densamente comunicativo nella sua vena orientaleggiante. La title-track ‘ARBEIT MACHT FREI’ inizia con un pacato e scuro drumming poi avvolto da psichedeliche vibrazioni liquide guidate da un basso sornione, prima di riproporre il sax che qui è un puro assolo di circonvoluzioni virtuose. Pur essendo ‘CONSAPEVOLEZZA’ una più classica colorazione progressiva, impone una carattere aggiuntivo al panorama prog del tempo, dando vita ad un modo estremamente dinamico ed eclettico di concepire la tradizione fino al quel momento esistente; la voce è un agile continuità di singulti e scatti che tonifica la linea melodica mentre il sax è morbido.

Lato B.LE LABBRA DEL TEMPO’ intraprende la scia rock, con minori parti suonate in senso jazz per quanto comunque importanti, ma pregnante nella sua forma soprattutto nella parte atmosferica dove il cantante arriva ad urlare “Un diritto che io ho” nella sua bravura estrema di usare l’ugola. La strumentale ‘240 chilometri da Smirne’ scatena un free-jazz nudo e puro che rende chiaro a tutti l’abilità superlativa dei musicisti; dinamicità e punteggiature accentate vengono da tutti gli strumenti per un quadro non del tutto astratto, lasciando che si riconoscano le linee espressive di ogni segmento. ‘L’ABBATTIMENTO DELLO ZEPPELIN’ è una stupenda traccia molto sperimentale, oppressiva nel suo ritmo ossessivo legato ad una chitarra elettrica tagliente, per poi puntare su una schermaglia rarefatta tra voce psicotica piena di sussurri e grida, e suoni algidi che aleggiano eterei, alternandovi momenti schizzati pieni di ipertonìa.

Si tratta di un debutto già fortemente incisivo, senza debolezze comunicative, pieno di significati sonori perfettamente codificati ed equilibrati. Il virtuosismo è spinto ma benissimamente centrato, evitando divagazioni fini a se stesse. Jazzato molto più che rockeggiante, esso dispiega le proprie ali senza apparentemente confini di sorta, volteggiando liberamente e con grande maestria tecnica. Su tutto ciò si staglia la voce del magnifico Stratos, eclettico teatrante assolutamente originale ed inventivo, con le sue peculiarità vocali tecnicamente sopra le righe e piene di espressività. Nonostante tutto nasca da improvvisazioni, la registrazione testimonia come ogni cosa sia perfettamente coerente e ben costruita. Musicalmente disco geniale, unicum nella storia del rock progressivo, che forse ci ricorda qualcosa dei King Crimson o dei Soft Machine, ma che è di una originalità freschissima e anche accattivante nonostante sia musica difficile per chi non vi sia abituato. Musica alternativa che ha utilizzato alcuni schemi tipici per stravolgerli, tutto però in maniera coerente e popolare, senza diventare mai sussiegosa elite. Sì, perché è un sound accessibile, comprensibile, credibile. E’ l’essenza della musica non superficiale, che sa farsi leggibile. Ne va esaltata la portanza concettuale, in un cinquantennale che ha senso celebrare ricordando che in quel 1973 parecchi giovani erano capaci di assimilare e godere una tale musica impegnata.

Roberto Sky Latini

Cramps Records
Web Non disponibile

Side A
Luglio, agosto, settembre (nero)
Arbeit macht frei
Consapevolezza

 

Side B
Le labbra del tempo
240 chilometri da Smirne
L’abbattimento dello Zeppelin

Testi di Frankenstein, musiche di Fariselli.

Demetrio Stratos – vocals / steel drum
Paolo Tofani – guitar / flute
Patrizio Fariselli – piano
Victor Edouard Busnello – sax /clarinet
Patrick Djivas – bass / contrabass
Giulio Capiozzo – drums / percussions