Arch Enemy
Blood Dynasty
Torna senza alcuna flessione il gruppo svedese ormai alla tredicesima fatica dal 1996. Uno sforzo che fa la sua bella presenza, luminosamente ed efficacemente. Le chitarre fumano e si contorcono sferragliando, ma anche giocano con orecchiabili passaggi emozionali come è di loro abitudine. Parlare di Melodic-Death per loro è semplicemente una collocazione causata solo dall’ugola screming-growling, ma in realtà si passa spesso a volute heavy o thrash che rendono molto variegato e ricco tutto l’insieme. E forse la parola thrash è quella che meglio si addice al combo.‘DREAM STEALER’ è un puro attacco Death, che schiaccia e distrugge; crepitante dà colpi a destra e a manca come distruttore da fine del mondo, e un ritornello corale s’infila nell’ascoltatore come stilettata tagliente. Poi ‘ILLUMINATE THE PATH’, stavolta in senso thrash, permane in una verve pesante anche se stavolta con una cadenza martellante più di tipo marziale e adatta ad un headbanging estenuante; la voce pulita non abbassa la tensione ma amplia in maniera epica la canzone mentre una scintillante chitarra realizza in maniera heavy un assolo melodico che intriga. La prima traccia era ipersonica, la seconda ballabile e ‘MARCH OF THE MISCREANTS’ come ottima terza traccia cambia del tutto ritmo elaborando diversamente i fill di batteria per poi accelerare successivamente ma anche fermandosi in un ponte melodico che prelude all’assolo, tutto ciò creando una atmosfera differenziata e variabile che costruisce una song più complessa e più ricca di sfaccettature, ponendola tra il doom e il maestosamente epico. Invece la quarta traccia ‘A MILLION SUNS’ si diverte a farsi Power, e in un certo senso è tipica melodicamente della stilistica propria degli Arch; essa però non si liquefa e mantiene tonicamente bene la caratterialità dell’album.
‘LIARS & THIEVES’ è un altro power-attack stavolta più judas-priestiano, ma scivola via di intrigante bellezza, fluida e penetrante. Efficace anche ‘DON’T LOOK DOWN’ che erutta fiamme in maniera più introspettiva, ma pur sempre con solidità e compattezza, e anche qui la sezione ritmica è implacabile. ‘PAPER TIGER’ è una fresca tirata metallica che non accetta compromessi, è un po’ cavalcata Maideniana e un po’ sei-corde alla Mustaine, costruendo una frizzante e arrembante scorribanda. La violenza greve di ‘MOTHS’ è una sprangata in testa; oscurità e cattiveria ne sono l’anima e nella semplicità si corre a rotta di collo con gli sprazzi dark rallentati ad aumentarne l’essenza sinistra, come semplici pause per ripartire. Ma poi arriva l’old-school di ‘EVIL DEAD’ che spiana con virulenza ogni resistenza facendosi così tradizionale ma così incisivo, da elicitare solo scatenato godimento. Gli ultimi due pezzi appena citati sono bonus, ma in realtà hanno la dignità di canzoni ufficiali dell’album. C’è così tanta carne al fuoco in questo disco, che addirittura si passa nel sinfonico con la traccia ‘The Pendulum’, parzialmente dark, anche qui però senza perdere punti pur con echi di già sentito. Sorprende la presenza della cover ‘VIVRE LIBRE’ dei francesi Blaspheme, la splendida ballata è interpretata sempre in lingua francese nella stessa bella maniera dell’originale; essa mette in luce una voce femminile pulita di estrema eleganza ed enfatica passione.
La band funziona in maniera assassina quando accelera nelle sezioni ritmiche, e i pezzi quindi che vivono di questa dinamica appaiono tutti molto duri, anche se in maniera raffinata. Non mancano certo gli episodi “commerciali”, se questo termine può essere usato in un simile genere metallico, e non cedono ad essere meno metal, che in realtà la vera vena commerciale qui non esiste. Insomma in questo lavoro troviamo un gruppo in forma, che ha scritto uno dei suoi migliori prodotti e che appare energicamente molto giovanile, ma anche molto maturo. La cantante è tecnicamente ineccepibile ma soprattutto è bravissima nelle sue espressività. Tutto l’album è equilibrato e costruito con intelligenza; niente appare forzato, niente ne indebolisce davvero la fruizione, nemmeno le piccole imperfezioni pur presenti nel senso di alcuni punti già abusati. Parlare di “melodico” negli Arch Enemy è semplicemente un artificio per separare come categoria il Death originario da questo, ma in realtà né pop, né easy listening traspaiono da una tale opera che si rivela del tutto heavy. Potenza e torsioni riffiche fomentano una grinta d’acciaio per uno dei full-lenght che merita di essere collocato in alto nella loro discografia.
Roberto Sky Latini