Andrew Latimer
War Stories
Dopo ventitré anni di silenzio discografico, Andrew Latimer, mente storica dei Camel, torna con un’opera solitaria e profonda: War Stories è una suite di 48 minuti pubblicata in autonomia sulla sua pagina Bandcamp.
Non si tratta semplicemente di un “nuovo album”, ma di una meditazione musicale che sembra racchiudere e sviluppare i temi di una intera carriera: lo sradicamento, il conflitto interiore ed esteriore, la ricerca di casa.L’album è un unico flusso narrativo diviso in quattordici sezioni titolate. È un viaggio che parte da Home, attraversa tempeste, oscurità, preghiera, perdita, e approda finalmente a Going Home. L’approccio è prevalentemente strumentale, con gli interventi vocali e al sax di Pete Jones (che compare in due momenti chiave: In the Dark ed il commovente finale) a fare da contrappunto umano alle introspezioni chitarristiche di Latimer.La vera voce dell’opera è la chitarra di Latimer: un strumento che parla, sussurra, gratta, canta e piange. La sua espressività, ottenuta attraverso il tocco, il vibrato, la scelta delle note, raggiunge qui una maturità commovente. Non c’è virtuosismo fine a sè stesso, ma la ricerca costante di un vocabolario emotivo per esprimere concetti universali: la resilienza, la solitudine, la speranza, il desiderio struggente di appartenenza.
Le tracce sono tutte sapientemente miscelate e mixate in una soluzione di continuità che da senso logico al raconto, Home e The Beating Heart, introducono il tema con una malinconia ipnotica, tipicamente latimeriana, Winds of Change e Before the Storm arrichiscono il mood fino alla splendida successiva In the Dark, dove la macchina Camel lentamente ed oserei dire inesorabilmente, riparte e sublima sè stessa in un oceano sconfinato di note ed emozioni. La meraviglia continua con We Are One e Belief con vette di bellezza corale e di quella progressione armonica inconfondibile che ha definito il suono della casa madre…poi Waiting e Lost for Words, il cuore oscuro della suite dalle atmosfere rarefatte, silenzi eloquenti ed una chitarra che vaga come un’anima smarrita. L’inserimento di una voce filtrata (“tendi la mano verso di me”) è un colpo di genio narrativo. The Cellist introduce un timbro nuovo (violoncello reale o sintetizzato) e una dimensione più intima, quasi una storia personale dentro la storia. Le successive The Phoenix” e Long Road Ahead rappresentano la rinascita ed il cambiamento, la chitarra riemerge con determinazione ed i temi si riavvolgono con nuova forza, la ritmica diventa più tribale e diretta fino alla conclusiva Going Home, il culmine emotivo, la voce stanca eppure piena di speranza di Pete Jones chiede: “Quando possiamo tornare a casa?”. La risposta arriva dalla chitarra di Latimer, in un assolo di una bellezza straziante e catartica, che trascina l’ascoltatore verso una pace duramente conquistata.
Oltre a Pete Jones, un tributo commovente va a Guy LeBlanc (ex tastierista dei Camel, scomparso nel 2015), che qui contribuisce con pianoforte, basso e batteria in Going Home, la sua presenza dona all’opera un significato ulteriore, di continuità e passaggio di testimone. La produzione è minimale, intima, attentamente cesellata. Ogni suono, ogni silenzio è al posto giusto. L’opera respira e si evolve con una naturalezza organica. Non c’è un solo momento di eccesso o autocompiacimento: tutto è finalizzato a servire la narrazione emotiva.
War Stories non è un album di facile ascolto. Richiede tempo, attenzione e disponibilità a lasciarsi travolgere da un’onda emotiva potente. Non è neppure un ritorno ai Camel degli anni ’70, ma l’opera matura, riflessiva e necessaria di un artista che, dopo una vita, ha trovato la forma definitiva per parlare dei temi che gli stanno a cuore. È molto di più di un disco: è un testamento artistico, una lettera d’amore alla resilienza umana e, forse, il punto di arrivo più alto e toccante di tutta la carriera di Andrew Latimer. Un capolavoro di musica introspettiva e progressiva. Per chi ha seguito Latimer nei decenni, è un dono inaspettato e prezioso. Per tutti gli altri, è la prova che la musica strumentale, quando è così carica di anima e significato, può raccontare storie più profonde di qualsiasi canzone.
Massimo Cassibba





