Ozzy osbourne
Diary of a Madman
Il sette novembre 1981, quaranta anni fa, usciva questo secondo album di Ozzy, di una carriera solista che lo rese ancora più iconico che con i Black Sabbath.
Spesso si citano due song importanti come ‘Mr.Crowley’ e ‘Crazy Train’ dall’album precedente ‘Blizzard of Oz’ per parlare della grandezza di Osbourne (ma anche della super-abilità del chitarrista), in realtà quell’album aveva qualche ingenuità che invece il secondo riuscì ad eliminare totalmente. Inoltre questi era anche un disco più serioso e compatto. I virtuosismi del compianto chitarrista Randy Rhoads non risultano meno validi e tutte le song riescono a creare un feeling profondo con l’ascoltatore, sia che esse siano più dirette, sia che siano più atmosferiche. Il disco uscì per la Jet Records, ma nel 2002 fu pubblicato il cd con la Epic Records, cancellando le tracce sonore di Daisley e di Kerslake, sostituendole con quelle del bassista Rudy Sarzo e del batterista ‘Tommy Aldrige, una operazione che sa di grossa bastardata ma che fa parte del quadro di un mondo commerciale che nell’ambiente musicale non era una rarità. Iconicissima la copertina con un Ozzy strampalato e mezzo raccapricciante, insanguinato, ed elementi misteriosi sparsi nella foto.
Subito l’album apre con due perle di Heavy Metal, veri capolavori, che sono ‘OVER THE MOUNTAIN’ e la più ariosa ‘FLYING HIGH AGAIN’, a modo loro punti di riferimento per la musica successiva dell’istrione Ozzy, anche se Randy non ci sarà più. La prima è tonica e diretta, mentre la seconda gioca con un assolo tipicamente leggiadro del chitarrista. Stranamente un chitarrista dotato come Randy sembra non accorgersi che l’inizio acustico di ‘YOU CAN’T KILL ROCK’N’ROLL’ fa il verso a ‘Fractured Mirror’ del 1978 di Ace Frehley, però ci pensa la bella melodia di Ozzy a recuperare l’empasse, e la song è stilisticamente perfetta; una minisuite soffice, che fa parte delle semi-ballate tipicamente heavy di quel periodo storico, ma con la magia di artisti eccezionali che sanno come condurre il gioco senza perdersi in banalità. L’oscurità hard rock di ‘Believer’ è la versione moderna dello spirito Black Sabbath con anche la voce che torna al periodo di metà anni settanta, compreso l’assolo che sembra, pur con i virtuosismi tecnici di Randy, far chiaramente riferimento a quel periodo.
‘Little Dolls’ possiede un middle-time non pesante visto che la canzone possiede una orecchiabilità suadente, ma non è un brano scritto in maniera lineare e povera, anzi i passaggi costruiscono una certa variabilità dinamica dove sia basso che batteria appaiono con chiarezza; nel cantato ad un certo punto emerge anche una enfasi che risente di ispirazioni beatlesiane. Poi arriva la classica soft-rocksong di tipo AoR, quasi Pop, del tipo che Ozzy ha cantato spesso nelle sue avventure discografiche, si tratta di ‘Tonight’, ma che ha tutto per funzionare alla grande senza che si storca il naso, soprattutto perché invece la chitarra va a suonare in modo ben più hard. Traccia dura e decisa è ‘S.A.T.O.’ dove la scorrevolezza ritmica accompagna con maestria una tonica linea melodica, oltre ad esplicitare un rifframa ficcante ed un elettricissimo assolo. La finale title-track ‘DIARY OF A MADMAN’ è una minisuite epica e maestosa, sia pesante che ipnotica, dove anche i suoni morbidi contribuiscono al respiro brumoso e gotico dell’insieme; in questo brano c’è lo strato di pathos più profondo del lavoro, una vocalità malinconica, il tutto creando una vera perla artistica.
I suoni presenti più levigati rispetto agli anni settanta portano comunque ad un riffing tagliente che non è alleggerito in alcun modo. Non sempre Randy decide di iniettare virtuosismi da sheredding, anzi, la sua tecnica lo porta a soluzioni sonore particolari atte ad arricchire l’arrangiamento, prediligendo spesso quel lato descrittivo intrigante piuttosto che colpire con assoli stratosferici. Un difetto del disco è spesso quello di spezzare gli assoli di Randy, magari sfumandoli nel finale. Pur trovando una certa leggerezza in certi episodi, il senso Heavy Metal di alcuni altri è netto e ormai classicamente tipico. Per venire alla vocalità di Ozzy, essa, come aveva iniziato verso la fine della carriera coi Black Sabbath, amplia il proprio raggio d’azione, riuscendo a farsi più variegata e modulare, toccando i tasti più acidi come quelli però più melodici, così da riuscire a portare al proprio ovile una tipologia di fan variegati. La sua caratteristica timbrica acuta ne rende riconoscibilissimo lo stile e afferma con decisione la sua versatilità.
E’ questo il disco migliore di Ozzy Osbourne? Forse no, forse si, ma esso è nato dentro l’alveo presente nel panorama mondiale della N.W.O.B.H.M., e come Ozzy dovette fare i conti con quel movimento, così quel movimento a sua volta dovette farli con lui, oltre che con gli altri mostri sacri già presenti quali erano i Judas e i Black Sabbath di Dio. ‘Diary…’ è però una pietra miliare che ha determinato la storia successiva più dei dischi venuti dopo. Ascoltando questa memorabile opera non possiamo che usare le parole di ‘You can’t kill Rock‘n’Roll’: “perché il rock’n’roll è la mia religione e la mia legge!” E da questa legge, quella della musica più forte, non possiamo prescindere.
Roberto Sky Latini
Jet Records
www.ozzy.com
Over the Mountain
Flying High Again
You Can’t Kill Rock and Roll
Believer
Little Dolls
Tonight
S.A.T.O.
Diary of a Madman
Believer (Live from Blizzard Of Ozz Tour)
Flying High Again (Live from Blizzard Of Ozz Tour)
Ozzy Osbourne – lead & backing vocals, production
Randy Rhoads – guitars, production
Bob Daisley – bass (uncredited)
Lee Kerslake – drums, percussion (uncredited)
Additional Personnel
Don Airey – keyboards (credited on original release but does not appear)
Johnny Cook – keyboards (uncredited)
Louis Clark – string arrangements on “Diary of a Madman”
Rudy Sarzo – credited on original release but does not appear
Tommy Aldridge – credited on original release but does not appear