Rolling Stones
Sticky Fingers
Negli anni sessanta l’iniziale verve rock’n’roll e blues dei Rolling Stones degli esordi virò verso lo psichedelico sullo stile dei Beatles dello stesso periodo, un po’ levigato. Ma già con ‘Let it Bleed’ del 1969 il gruppo tornò ad una più originaria performance rockeggiante.
Purtroppo l’album non sembrò pensato bene, aveva delle registrazioni concepite un po’ come session piuttosto divaganti e poco a fuoco, eccetto che in alcune tracce.Era come se i Rolling non sapessero bene cosa fare, in quell’anno Hendrix e Doors avevano più presenza di spirito musicale. Ma il 23 aprile 1971 la band tornò a farsi valere con ‘Sticky Fingers’ tramite brani più delineati e decisi, anche negli episodi stilisticamente più diluiti come ‘Can’t You hear Me knocking’ o nel bluesato con slide, molto all’antica, di ‘You gotta move’. Ma in questo album c’è anche un passo più tonico, che aumenta la possanza del loro comporre. Ricordiamo che nell’anno di questo album la realtà hard era da due già ben strutturata sul mercato: dall’Inghilterra i Led Zeppelin erano quasi al top, ‘In Rock’ dei Deep Purple aveva parecchio abituato certo pubblico alla comprensione del suono duro, così come i Black Sabbath con all’attivo già due mitici dischi. Senza contare gli Uriah Heep che l’anno precedente avevano sfornato il muro sonoro di ‘Gypsy’ . E poi le band americane che non stavano certo a guardare, con Grand Funk Railroad; Blue Cheer ed MC5. E forse i Rolling Stones furono sensibili a tutto ciò perché da ‘Sticky Fingers’ uscirono ‘Brown Sugar’ e ‘Bitch’, due veri pezzi hard rock che potrebbero essere considerati capostipiti del genere Street Metal a cui si abbeverarono gli Aerosmith, i quali esordirono nel 1973 ma erano già attivi nel 1970. Possiamo a ragione pensare come i due brani rollistonsiani siano perfetti per gli album degli Aerosmith senza che se ne possa notare la differenza stilistica, nel caso fosse stato Tyler a cantarle, e senza neanche variarne granché l’arrangiamento. I loro riff sono secchi e tirati alla maniera hard, anche se la distorsione della chitarra non è poi così eccessiva.
Considerare questo cinquantennale di ‘Sticky Fingers’ è centrale perché, oltre ad essere uno dei migliori della band,è anche il disco che in sé sottolinea l’ingresso nel nuovo decennio, con una fragranza moderna sebbene insita in una stilistica ben legata la passato. I due brani citati rendodno da soli i Rolling più modernamente hard rispetto al passato. In realtà essi vanno considerati anche proto-hardrock per brani degli anni precedenti che avevano già contribuito a formare la nuova e più arrembante stilistica, insieme ad altri gruppi anni sessanta, in particolare col singolo del 1968 ‘Jumpin’ Jack Flash’ che grazie soprattutto al riffing, ha un approccio molto vicino alla musica dura che verrà dopo (ma anche con la mitica ‘(I can’t get no) Satisfaction’ del 1965). Nei Rolling l’impronta rock’n’roll non verrà mai abbandonata per espressioni meno classiche rimanendo fortemente ancorati anche al Rythm and Blues, perfino quando ci sarà la modernità di ‘Some Girls’ (1978) o ‘Emotional Rescue’ (1980). Le affinità con l’hard rock erò ci sono.
Tra i brani più moderni del tempo, va considerata la magica ‘Sister Morphine’ perché pur essendo una ballata quasi vecchio stampo, ha una atmosfera che si riallaccia a certe introspezioni sonore anche di gruppi prog, con una parziale rarefazione ed uno spirito evocativo in linea con le cose più evolute del tempo (sonorità che li avvicina ai successivi Pink Floyd che potrebbero esserne stati influenzati). L’album ha nel suo complesso una perfezione stilistica che lo rende una pietra miliare nella storia del rock, un lavoro molto lucido e ispirato che va oltre quindi la vicinanza con i suoni hard, possedendo ben più della sola vena artistica “pesante”. La ballata qui contenuta è poi la storica ‘Wild Horses’ che con ‘Lady Jane’ del 1966 ed ‘Angie’ del 1973, fa parte di quel trittico soft fascinoso, famoso fra gli amanti del rock.‘Moonlight Mile’ invece è l’unico afflato anni sessanta che si riallaccia al periodo più leggiadro della band, ma con una presenza più matura, molto per merito della sei corde di Mick Taylor.
Non è un disco che si stacca del tutto dai lavori precedenti, ma c’è una consapevolezza maggiormente affinata, una attualizzazione che appare cosciente. I Rolling posseggono un’intima contiguità con Rock’n’Roll e Blues, ma all’inizio degli anni settanta si trovano ormai ad aver masticato più generi, come per esempio anche il country (e qui individuiamo ‘Dead Flowers’), infilando tanti spunti dentro questo lavoro, a solo sette anni dal loro esordio discografico. Nel disco successivo ‘Exile on mt. Street’ (1972), questa molteplicità si sente ancora di più, ma brani duri quanto ‘Brown Sugar’ e ‘Bitch’ non ci sono, pur con vari pezzi tonici, che però si allacciano molto di più al rock’n’roll classico (‘Rock off’; ‘Rip this Joint’ e ‘Happy’) diluendo l’irruenza rock in un ritmo ed un cantato meno serioso. Iconica, sexy e provocatoria la copertina che ritrae un paio di pantaloni indossati dalla vita al cavallo, presentando un rigonfiamento laterale esplicitamente significativo. In quegli anni in cui le rockstar si scatenavano nei camerini con ben più di una groupie a disposizione, il senso è chiaro, ma è anche un valore di energia e prestanza musicale che l’album ben respira nella propria fisicità, anche nei pezzi meno irruenti, ma comunque attraenti. Nell’arte le interpretazioni possono essere più d’una, anche se a molti la copertina piacerà di più col significato, meno elaborato, della pulsione sessuale. Niente di male, che quello che conta c’era e ancora c’è all’ascolto: il rock verace, il rock che non tramonta mai.
Roberto Sky Latini
Atlantic Records / Virgin Records
www.rollingstones.com
Brown Sugar
Sway
Wild Horses
Can’t You hear me Knocking
You gotta move
Bitch
I got the Blues
Sister Morphine
Dead Flowers
Moonlight Mile
Mick Jagger – vocals / percussion / guitar
Keith Richards – guitar
Mick Taylor – guitar
Bill Wyman – bass / piano
Charlie Watts – drums
Additional musicians:
Rocky Dijon – congas
Bobby Keys – saxophone
Billy Preston – organ
Jim Price – trumpet