Green Carnation
A Dark Poem, part. 1 – The Shores of Melancholia
Questa atmosferica band possiede un suono che sa descrivere ariosamente emozioni in grado di avere quel piccolo tocco di malinconia segnalato dal titolo dell’album, la quale malinconia però non oscura la luce. Il Prog- metal di questi norvegesi è al tempo stesso morbido e tonico, con paesaggistica aperta ma con chitarra ritmica corposa. Molta ricchezza inserita però dentro una semplicità compositiva che arriva diretta al punto. Niente progressive troppo elaborato, bensì tanta bellezza con poche pennellate pulite ed essenziali.
‘AS SILENCE TOOK YOU’ suona vocalmente come i R.E.M. ma più seri, ed emerge uno spirito di ampio respiro accompagnato da un po’ di mestizia. ‘IN YOUR PARADISE’ è un episodio che avanza con ritmica più netta, mantenendo però il mood leggermente triste, una struttura hard con una dolcezza di fondo rafforzata dalla linea melodica che costruisce un impianto dall’anima viva e sentita; c’è un momento più duro del cantato che si lega però perfettamente al resto, aumentando la forza umorale del pezzo. L’attacco metallico della suite ‘TOO CLOSE TO THE FLAME’ di oltre nove minuti è piuttosto dark e ossessivo, ottimo per imporre quell’alito duro perfettamente proseguito dalla linea melodica che mantiene l’inquietudine malinconica, a favore di una sottolineatura severa, sebbene successivamente non manchi la verve malinconica che abbiamo detto si respira per tutto il lavoro come caratteristica principale; ed anche la chitarra solista viene immessa a recuperare quello stesso sentimento leggermente dimesso.
L’unica violenza che troviamo nell’album sta in ‘The Slave that You are’ che alterna growling/chitarra di stampo estremo con sezioni cedevoli; è un bel momento sebbene minore rispetto alle altre tracce, rendendoci chiaro che forse questa modalità non è favorevole alle loro corde, ed in effetti il brano è migliore nella parte finale che appare meno moderna possedendo un groove più doom/heavy, anche se in realtà le ultime note tornano al Black/Death.Tutti gli episodi scorrono senza contraddizioni e sono facilmente da seguire sebbene l’impianto sia pregnante e raffinato. Va detto che la facile fruibilità è facilitata dal fatto che ci si basa quasi completamente sulla parte cantata. Non è progressive in senso nettamente strumentale, non c’è l’esuberanza tecnica del virtuosismo eclettico; ogni passaggio si basa sulle sensazioni offerte. Sebbene ci sia una trama sonora pienamente prog e in vari momenti enfatica, è il cantante al centro di tutto, in modo quasi totalizzante.
Si sente una derivazione che a tratti può vedere i Pink Floyd come maestri del gruppo, altre volte un substrato gotico, altre volte si accenna al Black Metal senza mettercene più di tanto; ma poi si possono raccogliere influenze di altri creatori del prog, antichi e moderni, in una densità ideativa mai però spezzettata o contraddittoria. Questo dovrebbe essere il primo disco di una trilogia; pare che gli altri due siano già pronti. Ma già da sola l’opera appare musicalmente completa, al di là della storia che voglia raccontare.
La carriera dei Green Carnation inizia discograficamente nel 2000, ma sei album più questo settimo testimoniano il livello di una realtà che non scrive mai senza un costrutto attento ed ispirato; viene ancora oggi regalata una bellezza compositiva che dà all’ascolto un senso di profondità in grado di soddisfare chi desidera assorbire malìa ed avvolgenza.
Roberto Sky Latini





