Goad
Dusketha
Con “Dusketha” i GOAD di Maurilio Rossi tagliano il traguardo dei cinquant’anni di attività, una cosa davvero incredibile! Inoltre possiamo a tutti gli effetti parlare di una realtà progressive rock che ha iniziato quando il tutto era nel pieno della sua abbondanza, ovvero gli anni Settanta. Questo nuovo “Dusketha” rimarca quelle origini ma non manca di inserire qualche elemento che rende questa release a suo modo unica e irripetibile, e soprattutto non “già sentita“. Maurilio Rossi è come al solito colui che sta dietro tutto ciò che riguarda questo progetto musicale, ma si accompagna con tanti altri musicisti che rendono quest’opera un lavoro molto poliedrico e vario, sebbene di base riservato ad una elite di ascoltatori precisa.
Il progressive rock è una materia particolare, molti la interpretano, ma c’è chi si affida ad alcuni dettami diciamo classici del genere, e chi invece cerca di usare questo genere per dare massima libertà al proprio estro creativo. Sicuramente i GOAD sono di questa seconda fascia. Il progressive rock per i GOAD è un involucro nel quale vengono buttate suggestioni dark, psichedelia, sperimentazione, e tutto questo grazie anche ad un gruppo di collaboratori fidati che si prodigano nell’aggiungere fiati, archi e percussioni alla già ricca base offerta da Maurilio Rossi, che è già cantante, bassista ed altro ancora. La produzione è affidata a Max Cirone ed è basata sulla tecnica del “bounce to bounce”, e cioè un passaggio continuo tra digitale e analogico, e questo sul risultato finale si sente, perchè l’album suona in un certo senso vintage e quasi scarno. Un totale di quasi due ore e mezzo di musica poi, portano questo album ad essere qualcosa di realmente per pochi!
Liricamente il disco prosegue ciò che era stato iniziato con i precedenti album “Titania” e “La Belle Dame”, e ci si apre questa volta ad autori come Jorie Graham, Edgar Lee Masters, T. S. Eliot, Lovecraft e altri ancora, accanto a testi inediti scritti dallo stesso Rossi. A livello musicale il disco sembra sospeso in qualche galassia sperduta, non sembra poggiare i piedi in questa terra, ma nel senso buono. La ricchezza di arrangiamenti e di strumenti danno un tocco naif all’album, che anche nel cantato melodico ma al tempo stesso un po’ stralunato di Rossi trova una dimensione quasi onirica e metafisica.
Il disco in questione quindi non andrebbe vivisezionato ma vissuto, anche se ci rendiamo conto che 155 minuti di musica non sono cosa per tutti…Tuttavia gli appassionati di progressive rock e opere molto ostiche e inclassificabili potrebbero trovare molto valido questo album.
La prestazione dei musicisti è indiscutibile e la classe qui non manca di certo, come anche un coraggioso buttarsi a gamba tesa con un disco lunghissimo e complesso in un mercato che cerca sempre di più il mordi e fuggi. Prendetevi il vostro tempo per questo disco, sedetevi e ascoltate attentamente, solo questo…
Drakul 218





