Elettra
17
Cinque brani, tre inediti e due cover, un filo rosso che attraversa il tempo e la sensibilità, portando l’ascoltatore in una dimensione sospesa tra malinconia e speranza. “17” è l’EP di ELETTRA che segna una maturazione artistica profonda e una dichiarazione d’intenti: la volontà di fondere l’eredità della musica d’autore italiana con le atmosfere internazionali dell’elettronica contemporanea.
Prodotto da EUGENE, nome ben noto per le collaborazioni con Garbo, Luca Urbani, Andy dei Bluvertigo e Gazebo , il disco si presenta come un piccolo viaggio emotivo, intimo ma ambizioso, che dialoga con la tradizione e la reinventa. Ogni traccia è una tappa di un percorso che alterna contemplazione, sensualità e tensione, con una cura per il suono che rivela un lavoro di cesello tanto nella produzione quanto nell’interpretazione vocale.Aprire un EP con una reinterpretazione di Giuni Russo non è una scelta casuale, ma una vera e propria dichiarazione di poetica. “La sua figura” è una delle canzoni più intense del repertorio della Russo, e qui ELETTRA la reimmagina in chiave elettronica, spogliandola del pathos lirico originale per ricostruirla come un sogno rarefatto.La voce si muove in un registro sussurrato, quasi ipnotico, mentre la produzione di Eugene costruisce un paesaggio sonoro fatto di sintetizzatori e pulsazioni lente, come un battito cardiaco distante. L’effetto è quello di un rito intimo, un dialogo con l’assenza. La spiritualità di Giuni diventa qui introspezione contemporanea, e la scelta di aprire con questa cover assume il valore di una “chiamata” alla sensibilità dell’ascoltatore.
Con “My name with blood” si entra nel cuore pulsante dell’EP. È il primo brano originale, e mostra una Elettra più diretta, ma non meno enigmatica. Il titolo evoca immagini di identità e sacrificio, e la canzone gioca proprio su questo doppio registro: la costruzione del sé attraverso il dolore e la consapevolezza.Il beat elettronico è essenziale, ma sostenuto da linee di synth che si intrecciano come filamenti nervosi. La voce è al centro, calda ma controllata. I testi, in inglese, amplificano il senso di universalità del messaggio: il sangue come firma, come segno indelebile di autenticità.È una traccia che cattura e avvolge, e che conferma la capacità di Elettra di far convivere eleganza e inquietudine.La seconda cover è un omaggio ai Depeche Mode, ma anziché limitarci a una semplice riproposizione, ELETTRA la trasforma in una meditazione eterea. “Surrender”, nella sua versione, diventa una carezza malinconica: la voce è filtrata, quasi sospesa in un’atmosfera di riverberi e delay che evocano un altare sonoro.
Eugene costruisce intorno a lei un tessuto minimale, fatto di suoni sintetici liquidi e bassi morbidi, che restituiscono la sensualità del brano ma ne evidenziano la fragilità. È una resa non tanto all’amore, quanto alla vulnerabilità stessa: un invito ad accettare la propria imperfezione.In questa traccia si percepisce chiaramente la cifra stilistica dell’intero EP: la capacità di rendere familiare qualcosa di nuovo e di nuovo qualcosa di familiare.“Artificial plus mine or mood” è forse il momento più enigmatico e cinematografico dell’EP. Il titolo stesso suona come un rebus, e il brano ne rispecchia la natura: un intreccio di synth freddi e voci stratificate, dove la dimensione artificiale si intreccia con l’emotività più sincera.
La canzone è accompagnata da un video su YouTube ispirato alle atmosfere di “Twin Peaks”: e non è difficile capirne il motivo. I suoni sembrano emergere da un sogno disturbato, tra eco distorti e campionamenti.Elettra gioca con la dualità tra umano e sintetico, tra artificiale e reale, tra sentimento e costruzione estetica. Il risultato è affascinante: una specie di poema elettronico che riflette sull’identità e sull’alienazione contemporanea.A chiudere l’EP troviamo “Do u want 2”, un brano che fonde groove elettronici con una melodia più pop, quasi liberatoria dopo la densità dei brani precedenti. È la parte più luminosa del viaggio, ma non meno raffinata.La voce di Elettra qui si fa più diretta, quasi sensuale, e il testo ,scarno, costruito su domande ripetute ,diventa un mantra ritmico. L’arrangiamento gioca con il contrasto tra leggerezza e profondità: un basso pulsante, un beat incalzante e una linea vocale che sembra fluttuare sopra tutto, con una grazia controllata.È un perfetto epilogo per un lavoro che parla di introspezione ma anche di desiderio, di connessione umana in un mondo sempre più digitale.
Nel suo insieme, “17” si presenta come un lavoro coerente e raffinato, in cui la brevità ( cinque tracce per poco più di venti minuti di musica ) diventa una scelta estetica precisa: quella della concentrazione, dell’essenzialità. Ogni suono ha un peso, ogni pausa un significato.La produzione di Eugene è limpida, calibrata, mai invadente. Si percepisce la sua esperienza nel costruire spazi sonori che lasciano respirare la voce, rendendo ogni brano una piccola architettura emotiva.Elettra dimostra una notevole consapevolezza interpretativa: la sua voce non cerca virtuosismi, ma preferisce l’intensità del controllo, la tensione del non detto. È in questo equilibrio tra misura e passione che risiede la forza dell’EP.L’uscita su Kutmusic segna un ulteriore passo nella definizione del suo percorso artistico, già arricchito dalla collaborazione con iBerlino nel brano “Io del bosco non ho paura (storia di Flora)”, dedicato alla giovane partigiana Flora Monti : un altro segno della sensibilità culturale e narrativa che attraversa tutta la produzione di Elettra.
“17” è un EP che non cerca di stupire con effetti, ma di sedurre lentamente, invitando all’ascolto attento. È un piccolo scrigno di elettronica poetica, dove convivono memoria e modernità, spiritualità e inquietudine.Elettra emerge come un’artista capace di abitare la soglia: tra umano e artificiale, tra luce e ombra, tra tradizione e futuro.Un debutto maturo, affascinante, e ,come il numero che lo intitola ,carico di misteriosa energia.
Anna Cimenti





