Cecil Lorint Salvant

Oh Snap

Cécile McLorin Salvant è una di quelle artiste che non smettono mai di sorprendere. In ogni suo progetto, il senso della scoperta è più importante della conferma, e il rischio dell’ignoto è parte del piacere. Con “Oh Snap”, la cantante franco-haitiana compie forse il passo più audace della sua carriera: un disco che abbandona le sicurezze del jazz tradizionale e si lancia in un territorio di confine, dove la voce diventa non solo strumento espressivo, ma laboratorio di identità. È un album che non chiede di essere capito subito, ma che cresce con l’ascolto, fino a rivelarsi come una dichiarazione di libertà artistica, personale e persino politica.Il titolo stesso, “Oh Snap”, evoca un gesto improvviso, una reazione istintiva, un “momento di rottura” che diventa rivelazione. È un disco pieno di scatti, cambi di tono, di registri, di linguaggi: un mosaico che riflette la complessità di chi lo ha creato.L’apertura, “I Am a Volcano”, non poteva essere più simbolica. Il brano parte con una voce quasi trattenuta, un bisbiglio nel buio, accompagnato da un tappeto elettronico sottile, quasi irrequieto. Poi arriva l’esplosione: la voce si apre in un grido che mescola melodia e improvvisazione, dichiarando con forza la volontà di “eruttare”, di liberarsi dalle etichette. È una canzone di trasformazione, un manifesto personale e sonoro: “non sono un fiume, sono un vulcano”.

La produzione accompagna questa idea con una sensibilità cinematografica: il suono cresce, si espande, collassa, come se la canzone stessa fosse un paesaggio che cambia. È un inizio che dice subito al pubblico: questo non sarà un disco di comfort, ma di coraggio.Con “Anything but Now”, il tono si fa più intimo e riflessivo. Qui Salvant affronta un tema universale: l’incapacità di vivere nel momento presente. La musica, con il suo andamento quasi da valzer jazz, sembra ondeggiare come il pensiero stesso, sempre in bilico tra ciò che è stato e ciò che verrà. La voce gioca con i silenzi, con i respiri, lasciando spazi di incertezza che rendono il testo ancora più vero. È un brano che parla dell’ansia contemporanea, della mente che scappa continuamente, e la cantante la interpreta con una grazia malinconica ma ironica, come se sorridesse del proprio stesso smarrimento.“Take This Stone”, che vede la collaborazione di June McDoom e Kate Davis, è uno dei momenti più luminosi e sorprendenti del disco. Le tre voci si intrecciano in un canto quasi liturgico, privo di tempo. L’arrangiamento è minimale: chitarra acustica, qualche percussione eterea, e il resto è tutto nella tessitura vocale. Il testo parla di una pietra passata di mano in mano, di memoria e di eredità, ma può essere letto anche come una riflessione sul peso della tradizione: cosa scegliamo di portare con noi, e cosa invece decidiamo di posare a terra.

La canzone è costruita come un rito collettivo, e Salvant, pur essendo al centro, lascia spazio alle altre due voci, che diventano eco, risposta, respiro. È uno dei brani più poetici e delicati del disco, e dimostra quanto l’artista sappia trasformare la complessità in semplicità emotiva.Con “What Does Blue Mean to You?”, l’album si tinge di introspezione e ambiguità. “Blue” non è solo un colore, ma un sentimento, un modo di essere. Salvant costruisce una sorta di meditazione sonora in cui la voce si sdoppia, si modula, sussurra e sospira. È blues, ma anche soul, eppure non del tutto: è un genere a sé. Il brano si apre con una linea di basso lenta e ipnotica, sopra la quale la voce si muove come un pennello che sfuma gradazioni di malinconia.È uno dei pezzi più profondi e personali: il “blu” diventa metafora del desiderio, della tristezza e della bellezza che si nasconde in entrambi. L’interpretazione vocale è magistrale, piena di piccole variazioni di tono che catturano ogni piega emotiva.La quinta traccia, “Brick House”, è un momento di puro divertimento. Salvant recupera il celebre titolo funk dei Commodores, ma ne fa una versione completamente diversa: rallentata, spezzata, quasi grottesca. È come se guardasse quella canzone “da dentro”, interrogandosi su cosa significhi davvero essere “una casa di mattoni”, solida e desiderabile. Il groove è deformato, il ritmo si contorce, e la voce gioca con l’ironia e la sensualità.

È una riflessione intelligente sul corpo femminile e sulla percezione di sé, condotta con umorismo ma anche con un certo distacco critico. Salvant non prende mai una posizione semplice: si diverte e si mette in discussione allo stesso tempo.Il brano che dà il titolo all’album è il suo cuore pulsante. “Oh Snap” è una canzone in cui il jazz incontra l’elettronica, e il canto tradizionale si intreccia con effetti digitali e manipolazioni vocali. Il risultato è esplosivo: un pezzo che sembra cambiare forma a ogni strofa.Il testo è un flusso di coscienza, una serie di osservazioni improvvise e taglienti, come fotografie di momenti fugaci. “Oh snap” è l’esclamazione che accompagna lo stupore, ma anche l’errore, la presa di coscienza. È l’attimo in cui qualcosa si spezza e qualcosa si rivela. In questo senso, la canzone è una metafora dell’intero album: un evento che apre una nuova dimensione sonora e personale per l’artista.“Second Guessing” è una ballata di insicurezza e ironia. La voce è più diretta, quasi parlata, e il testo gioca con la ripetizione del pensiero che si corregge, che si contraddice. È una delle canzoni più teatrali del disco, con un andamento narrativo che ricorda un monologo interiore.

Musicalmente è costruita su un ritmo leggero, quasi swing, ma continuamente interrotto da pause e deviazioni. È un brano che rappresenta bene la poetica di Salvant: la bellezza non nasce dalla perfezione, ma dal coraggio di mostrare le crepe.“Expanse” è un momento di sospensione. Qui la voce diventa quasi uno strumento ambientale, un suono che si diffonde come eco nello spazio. È una composizione rarefatta, meditativa, in cui il tempo sembra allungarsi.Non ci sono vere parole, ma frammenti di vocalizzi, respiri, piccoli accenni melodici che evocano vastità. È come un respiro dopo tanta densità: una finestra aperta sull’infinito.Il brano “Eureka” riprende il movimento, con un ritmo che crea sospensione continua e una melodia spezzata. È una canzone sul momento dell’intuizione, sul “trovare qualcosa” dopo aver vagato nel buio. La struttura è quasi pop, ma con improvvise deviazioni armoniche.Cécile canta con una gioia controllata, come se avesse appena trovato la chiave di un mistero ma volesse ancora tenerlo segreto. È una canzone che parla della creatività stessa: l’attimo in cui la mente si accende e tutto diventa chiaro, anche solo per un istante.

Le ultime quattro tracce formano una sorta di suite finale che chiude il disco con grazia e profondità.“Thank You” è una preghiera laica, dolce e sincera. Non è solo un ringraziamento a qualcuno, ma un canto di riconoscenza verso la vita stessa. La voce è nuda, quasi senza accompagnamento, e il risultato è toccante.“A Little Bit More” introduce un ritmo più moderno, quasi elettronico, con l’uso di effetti vocali che amplificano il senso di desiderio espresso nel testo. È una canzone che parla della fame di vita, dell’impossibilità di accontentarsi: “voglio solo un po’ di più”.“Nun” torna su toni più spirituali, ma con un’ironia sottile. Il titolo gioca con il doppio senso: “suora” e “nessuno”. È un brano che riflette sul silenzio, sulla dedizione e sulla solitudine creativa. La voce è intima, ma allo stesso tempo potente, come una confessione sussurrata a se stessi.Infine “A Frog Jumps In” chiude l’album con leggerezza. È un pezzo quasi fiabesco, costruito su un ritmo saltellante ,un testo surreale e note che si intrecciano e a volte si scontrano.Suoni dell’Universo che si perdono via via che il brano si dissolve e cade in un silenzio : la vita si presenta nelle sue forme più imprevedibili. È un finale perfetto, che riconcilia l’ascoltatore con la semplicità del gioco e della natura.

“Oh Snap” non è solo un album di canzoni: è un autoritratto in movimento.Cécile McLorin Salvant usa la voce come un pennello che esplora ogni colore possibile, dal nero profondo del jazz al blu malinconico del soul, fino ai toni caldi del folk e agli echi sintetici dell’elettronica.Ogni brano è una sfaccettatura di un’identità che si rifiuta di essere definita. La sua voce, così elastica e potente, non è mai solo virtuosismo: è sempre racconto, è corpo, è presenza.L’impressione finale è quella di un viaggio: un percorso che parte dall’eruzione (I Am a Volcano) e arriva al salto nel vuoto (A Frog Jumps In). Dall’esplosione al tuffo, dall’affermazione all’abbandono. In mezzo, un universo di emozioni, domande e riflessioni sul tempo, sull’essere donna, sull’arte come continua reinvenzione.“Oh Snap” è un disco che non si lascia etichettare, e forse proprio per questo rimane impresso.È un atto di coraggio e vulnerabilità insieme, un lavoro che dimostra come il jazz, inteso come libertà e improvvisazione , possa ancora dire qualcosa di nuovo, di necessario.

Cécile McLorin Salvant, con questo album, non si limita a cantare: crea un mondo. E invita chi ascolta a entrarci senza paura di perdersi.

Anna Cimenti

I am a volcano
Anything but now
Take this stone (feat. June McDoom & Kate Davis)
What does blue mean to you
Brick House
Oh Snap
Second guessing
Expanse
Eureka
Thank you
A little bit more
Nun
A frog jumps in

Cécile McLorin Salvant – Vocals, Synths
Sullivan Fortner piano,
Kyle Poole -drums
Yasushi Nakamura – bass
Keita Ogawa – Percussion
Weedie Braimah – Percussion