Human Fortress
Stronghold
Gli Human Fortress sono tornati con un nuovo album intitolato “Stronghold”. Questa band sorprese tutti nel 2001, anno in cui pubblicarono il loro album di debutto “Lord Of Earth and Heavens Heir” che risultò un album piuttosto maturo per un esordio. Da allora la band, nonostante i vari cambi di formazione, ha saputo mantenere una sorta di coerenza di fondo, con il loro power metal epico e melodico, che via via è diventato più asciutto e diretto.
In “Stronghold”, il loro settimo album in studio, gli Human Fortress acquisiscono una veste moderna, ma comunque fedele alle proprie radici, presenti negli album precedenti. “Stronghold” parte con la title track, che presenta riff nitidi e un ritornello molto diretto (in richiamo ai vecchi fasti), seguita da “The End Of The World” che mescola atmosfere eroiche e power melodico che ricorda i Kamelot, mentre in “Pain” si assiste al momento forse più ispirato dell’album con un buon crescendo emotivo accompagnato dalla voce di Gus Monsanto, ma “The Abyss of Our Souls” è la traccia che risulta essere l’apice narrativo del disco, con le sue orchestrazioni e un senso epico tra i Kamelot e i Blind Guardian.
Da questo punto in poi iniziano ad emergere brani un po’ più oscuri, che si muovono su territori mid-tempo dal sapore quasi doom, dove si avvertono echi del power più robusto e drammatico tipico degli anni 90. La produzione risalta la sezione ritmica, restituendo all’ascoltatore un suono pulito e nitido, che a tratti penalizzato da strutture poco uniformi. La copertina infine, curata da Gyula Havancsák, raffigura un imponente castello e allo stesso tempo misterioso, circondato da nubi e bagliori di battaglia, che incarna pienamente l’essenza del disco con un tocco vintage e allo stesso tempo cinematografico.
In conclusione, con questo nuovo album gli Human Fortress dimostrano di saper creare album solidi e piacevoli all’ascolto (sia per i fan che per coloro che non sono avvezzi al genere), benché a tratti il songwriting risulti a tratti molto prevedibile e i momenti memorabili siano particolarmente assenti, impedendo all’album di spiccare nella loro discografia.
Chiara Coppola
“Stronghold” è l’ottavo album della band e rappresenta un nuovo capitolo nella carriera ventennale degli HUMAN FORTRESS. Prodotto dalla band presso i Soundhoops Studio, con missaggio e masterizzazione curati da Alex Krull (Mastersound Studio), il disco offre un sound più pesante e incentrato sulla chitarra.
Con l’uscita del tastierista di lunga data Dirk Liehm, “Stronghold” è il primo album degli HUMAN FORTRESS scritto in gran parte senza tastiere, con un sound più aggressivo e incentrato sulle chitarre. Sebbene alcuni brani esplorino elementi compositivi più mainstream, l’album rimane saldamente radicato nell’heavy metal epico, fondendo riff potenti, melodie slanciate e testi stimolanti.Nel corso degli anni gli HUMAN FORTRESS hanno condiviso i palchi con artisti del calibro di Orden Ogan, Axxis, Skyclad, Wizard, The Grailknights, Poverty’s No Crime, Gallowglass, Mercury Falling e King Leoric, oltre a esibirsi in festival come Wacken Open Air, Metal Inside Festival e Dominion Festival.
Ascoltando questo disco penso che gli Human Fortress abbiano fatto un buon lavoro certo non all’altezza dei loro precedenti album Eternal Empire e “Raided Land“perché ad esempio ci sono alcune limitatezza che riguardo lacune soluzioni vocali che dopo un po’ rendono l’ascolto difficoltoso risultando a volte noioso e piatto. Death Calls My Name è forse l’unica canzone in cui i cori hanno ragion d’essere e poi la magnifica voce di Gus Monsanto assai recitata rende questo pezzo unico nel suo genere.
Malgrado ci siano dei buoni Riff di chitarra ad esempio la seconda traccia The End of the world oppure la roccheggiante Mesh of Lies mentre davvero buona è Under the Gun introdotta dal basso di André Hort il disco non decolla e rimani impigliato su se stesso, se gli Human Fortess volevano con Stronghold raggiungere la alte vette qualitative di Helloween Accept o Avantasia con l’idea di doppiare i cori in modo pedissequo rende l’album stancante all’ascolto ed in questo non aiuta nemmeno la produzione che rende il suono piuttosto chiuso in se stesso.
In conclusione pur non avendo tutto da buttare l’ottavo disco dei tedeschi Human Fortress delude alquanto e malgrado i vari ascolti e tentativi di arrivare alla fine tutti falliti spero che la band rifletta su quanto fatto in questo disco e ci consegnino altri dischi che hanno segnato in modo positivo la loro ormai ventennale carriera .
Stefano Bonelli





