John Strada
Basta crederci un po’
Con il suo nono album di inediti, “Basta crederci un po’”, John Strada firma uno dei lavori più maturi della sua carriera. Il cantautore emiliano, che da sempre cammina in equilibrio tra il rock d’autore americano e la tradizione cantautorale italiana, realizza un disco che è allo stesso tempo un’istantanea del presente e un invito ostinato alla speranza. Un lavoro che non cerca scorciatoie, né sul piano musicale né su quello lirico, dove ogni canzone sembra prendere vita come un racconto in miniatura, capace di parlare del nostro tempo con una incredibile lucidità.L’album nasce, come confessa lo stesso Strada, da una fase di crisi creativa, in cui la scrittura ha dovuto fare i conti con una trasformazione interiore. È lo stesso autore a dichiarare di aver scritto, riscritto, distrutto e ricostruito le proprie canzoni, in un processo di ricerca sincera. Il risultato è un disco che si presenta come un vero e proprio viaggio nei territori della nostra umanità: le sue contraddizioni, le sue fragilità, ma anche le sue aspirazioni.Con la produzione artistica affidata a Don Antonio Gramentieri (già al fianco di Capossela, Nada, Sacri Cuori), il suono di “Basta crederci un po’” si veste di una cura sonora che fonde radici blues-rock, sfumature electro e arrangiamenti al servizio delle parole. Le collaborazioni con musicisti del calibro di Nicola Peruch e Diego Sapignoli impreziosiscono un lavoro che, pur restando profondamente “di provincia” nell’immaginario, si apre a sonorità internazionali.
Il brano che dà il titolo all’album è un’apertura amara e affilata. Con un groove electro-blues ipnotico e moderno, Strada ci accompagna nelle vite costruite ad uso e consumo dei social.Tre storie, tre vite mediocri, una sola finzione condivisa: l’illusione della felicità mostrata. Qui, più che in altri brani, emerge la vena satirica del cantautore, che con ironia e realismo demolisce il mito dell’apparenza.Cambio di registro per una canzone ispirata a Mary Poppins,”Ballando in città” con echi e un’atmosfera onirica. È un brano che parla di sogni e resistenza all’imbarbarimento della vita. Strada ci invita, con garbo e poesia, a non lasciarci rubare la capacità di sognare. Una canzone che sembra scritta per essere canticchiata camminando tra i palazzi grigi di una periferia, dove la fantasia può ancora vincere sulla noia. Un flusso di coscienza parlato, quasi teatrale si scopre nell’ascolto del brano “Parlavo da solo”. Siamo di fronte a una delle prove più ambiziose dell’album. L’io narrante si interroga, accusa, si confessa. Un lungo monologo che passa dalla critica sociale al lirismo più profondo, fino a una celebrazione finale della vita. Una traccia che sembra condensare la poetica di John Strada: la rabbia civile, l’introspezione e l’urgenza comunicativa.
“Non ti dirò ti amo” è una canzone d’amore diversa, priva di retorica e per niente sdolcinata. L’inizio è tagliente, ma poi si apre in un ritornello fresco e sorprendentemente romantico. È il ritratto di un amore maturo, reale, che non ha bisogno di frasi fatte. Un piccolo manifesto non melenso, perfetto per chi crede che la tenerezza possa essere più vera quando è spogliata di cliché. Un brano che respira la disillusione dei nostri tempi si intitola “Manca il respiro”. La scrittura oscilla tra il colto e il quotidiano, tra citazioni alte e chiacchiere da bar. Strada mette a fuoco la frustrazione di una generazione che ha dovuto arrendersi a una realtà ben diversa da quella immaginata a 14 anni. Una critica sociale impietosa ma realista.La traccia più intensa e drammatica dell’album, dedicata a Federico Aldrovandi ,è “Girasoli”. L’arrangiamento essenziale amplifica la carica emotiva di una canzone che riflette sulla violenza, sull’abuso di potere, sul dolore. Non è un attacco, ma una domanda senza risposta: cosa accade nella testa di chi compie gesti irreparabili? Una riflessione dolorosa e profondamente umana.
“La scuola è finita”: è una boccata d’aria. Il tono qui si fa più leggero, celebrativo. I cori portano energia e speranza. È la fotografia di un momento di passaggio ,la fine della scuola, ma anche un inno alla giovinezza, al desiderio di non diventare come gli adulti che hanno rovinato il mondo. Un brano che pulsa di energia positiva.“Amore Social”,la storia di un amore nato online che finisce prima ancora di iniziare. Lei non si presenta all’aeroporto, lui resta solo con i suoi sogni infranti. Ma la canzone non scivola nel patetico: è semmai il racconto lucido di quanto sia fragile la speranza quando è costruita solo a parole. Un pezzo che riflette sul confine tra virtuale e reale, tra illusione e concretezza.La controparte disillusa di “La scuola è finita” è “La vita va”. Qui il protagonista è un disadattato che si aggrappa a promesse vuote. Il racconto è amaro, ma sempre empatico. Strada non giudica, osserva. Con una scrittura precisa e a tratti crudele, ci mostra una vita trattenuta, fatta di abitudini tossiche e sogni consumati.
La ballata più classica dell’album, struggente e dolceamara si intitola “Giocattoli rotti”. I temi del rimpianto e della colpa emergono in tutta la loro intensità. Una canzone che parla del tentativo , spesso vano, di rimettere insieme i pezzi di ciò che si è rotto, nelle relazioni e nella propria interiorità. Un momento di quiete emotiva che lascia il segno.In conclusione arriva il brano “La tygre e l’agnello”,ispirata a William Blake, è uno dei brani più intensi e simbolici. Il ritmo incalzante e l’uso del parlato ricordano Tom Waits e Nick Cave, mentre il testo affronta il tema drammatico del femminicidio. Due nature opposte, la violenza e la dolcezza, convivono in uno stesso essere umano. È una riflessione dolorosa, potente e necessaria.
“Basta crederci un po’” è un disco importante. Non solo per la carriera di John Strada, ma per il panorama musicale italiano contemporaneo, sempre più povero di voci capaci di unire l’urgenza del dire alla cura del suono. Questo nono album conferma la statura di Strada come autore coerente, profondo e coraggioso. Le sue canzoni sono radicate nella realtà, ma non rinunciano mai alla poesia. Sono arrabbiate ma mai disperate o amare.
Ogni brano è un piccolo affresco del nostro tempo, narrato con uno sguardo lucido, a tratti affettuoso, spesso impietoso. Un disco che alterna luce e buio, ballate e invettive, riflessioni intime e denunce sociali. Una prova di maturità artistica e umana, che merita attenzione.*
Anna Cimenti





