Jakko M. Jakszyk
Son of Glen
Il britannico Jakszyk, attivo dal 1982, pubblica in questo 2025 un album introspettivo che eccelle in classe e raffinatezza. L’artista, militante anche nei King Crimson come singer e chitarrista dal 2013, ha suonato tante cose diverse e oggi ha scritto un album prog non tecnicissimo nonostante sia presente anche un carattere strumentale ineccepibile. A parte alcuni brevi tracce non cantate, il lavoro è quasi tutto incentrato sulle linee melodiche vocali, per raccontarsi e raccontare il suo rapporto con un padre biologico mai conosciuto, appunto il Glen del titolo, pilota statunitense del quale egli scoprì l’identità solo ormai quando morto. Ricordiamo che Jakko fu adottato e si mise a cercare le proprie radici, quindi ha voluto conoscere volontariamente dei genitori di sangue, non è stato un caso, per cui anche un’opera di tale tematica si capisce che derivi da una necessità interiore, e la musica che ne emerge appare in perfetta linea con questa spinta psicologica. Spesso il mood è soffice e morbido, ed è una calma riposante, molto piacevole, fatta per lasciarsi andare e farsi cullare; non annoia mai, non stanca mai. Eppure non è un suono blando, rarefatto, bensì ha il pregio di possedere un certo tono di fondo, dove anche certe accentazioni non vengono lesinate.
La traccia ‘SOMEWHERE BETWEEN THEN AND NOW’ vive dentro una dimensione dinamica la propria quiete, lasciando che vi siano presenti alzate di tono e cambiamenti di stato; la chitarra non tocca virtuosismi particolari anche se notiamo un minimo di shredding presente, ma soprattutto sa essere poetica come la voce, e si aggiunge una netta efficacia ritmica del drumming che si fa tonica in un continuum ficcante. ‘HOW DID I LET YOU GET SO OLD?’ è di una leggerezza affascinante, che crea avvolgenza e suadenti emozioni, dentro s’infilano eleganti input progressive che rendono eterei certi passaggi donando alla linea vocale un sostegno fluido ad un cantato comunque non statico. La suite di oltre 10 minuti di ‘SON OF GLEN’ è il momento più toccante; e qui il tasso prog aumenta riuscendo a creare atmosfere molteplici, mettendoci anche un po’ di sei-corde distorta che fa assaporare parzialmente l’abilità compositiva strumentale dell’autore.
Pur essendo un album prevalentemente di prog-rock, per quanto infarinato di pop e soul, la vaporosità gli fa sfiorare persino il piano-bar, e però è sempre la classe che prevale, e il songwriting associato ad arrangiamenti funzionali lo rendono ricco di feeling artistico. Ci sono suoni classicamente prog, ma non vengono mai estesi a prendere il sopravvento perché ci si attiene molto alla linea melodica cantata; è un prog ancorato fortemente all’ugola così come spesso ha fatto Alan Parson’s Project, sebbene il genere di progressive sia differente. Le corde vocali dell’artista sono delicate, belle e limpide, in grado di modularsi variatamente ma con equilibrio. Nell’insieme il temperamento del disco evita velocizzazioni e temi spessorati di durezza a favore di un più sognante animo di cuore nostalgico. La forza di questo lavoro è la potenzialità atta ad afferrare l’ascoltatore senza imporre adrenalina eccitante ma di saperlo interessare donandogli immagini sonore evocative e comunicative. Davvero un saporoso intimo viaggio.
Roberto Sky Latini