Helloween

Giants and Monsters

Uno dei dischi metal più attesi dell’anno è arrivato e non è una delusione.  E’ questo il diciassettesimo full-lenght dei teutonici “happy warriors”, ma il secondo col progetto unificatore sorto nel 2017, passando per il primo esordio discografico del 2021 con tale iper-band al completo; e quindi il secondo all’interno della fase considerabile una “rinascita” o un riassetto. L’operazione di un tale “tutti insieme” è un evento interessante, che amplia le curiosità culturali del mondo metal e determina un efficace combinazione di elementi; anche se la scelta poteva sembrare di mercato, ha dato nell’insieme un risultato forte e qualitativo, prima dal vivo e adesso con la nuova pubblicazione.

La band è uso fare brani lineari e diretti come anche più variegati ed elaborati, non ha probelmi nell’uno come nell’altro caso, e l’apertura dell’album è lasciata al tipo più sviluppato che è ‘GIANTS ON THE RUN’, con passaggi e inserti a diversificare l’anima del pezzo; se tra i singulti delle strofe troviamo anche un momento in simil-growl, troviamo poi un ponte soft e in esso anche dei cori epici, per uno degli episodi di stampo enfatico e maestoso che si eleva sopra gli altri per qualità espressa. Un veloce power-attack è ‘SAVIOR OF THE WORLD’ che classicheggia nella solita verve luminosa del gruppo, sfornando un ritornello orecchiabile che suona allegro e comunque dall’appeal potente. Nella rutilante ‘WE CAN BE GOD’ la potenza invece di tipo duro viene emanata dalla riffica judaspriestiana tenuta a ritmo sostenuto, e poi però si vira verso un refrain molto orecchiabile accompagnato da un pianoforte che ricorda gli Abba; per certi versi è un peccato cambiare lo spirito della canzone con questa parte appunto meno violenta, ma in effetti è proprio l’essenza stessa del gruppo e viene messa in campo con alta capacità compositiva che conferma la bontà dello stile utilizzato.

A trascinare con vigore l’ascoltatore ci si mette anche la febbricitante ‘MAJESTICA’ che nel suo lungo urgente assolo in due parti appare come una canzone straripante che non vorrebbe finire mai. Un po’ di Scorpions nella melodia di ‘A little is a little too musch’ e nella chitarra solista di ‘Into the Sun’, ma nulla che sia fuori dalle corde della band. E poi si percepisce talvolta anche la verve dei Gamma Ray, ma questo è un accostamento scontato. Forse due canzoni come ‘This is Tokyo’ ed ‘Hand of God’ avrebbero avuto bisogno di intermezzi che aprissero a variazioni sul tema, il loro songwriting sembra avere un  ulteriore potenziale di sviluppo soprattutto il secondo tra i due che è anche piuttosto originale e moderno, ma comunque sono entrambi piacevoli per quanto non esaustivi. Probabilmente l’episodio meno riuscito è ‘Under the Moonlight’ a causa della linea melodica leggermente prevedibile.

Gli Helloween ci hanno abituato ad un livello alto anche quando le opere create non sono perfette. Forse con il cantante Deris solo ‘Keeper of the Seven Keys-The Legacy’ del 2005 è considerabile vera opera d’arte, sebbene per molti non sia così. Spesso non c’è oggettività nel valutare i risultati discografici di questo gruppo per molti motivi, fra cui l’attaccamento alla prima formazione, o l’essenza “felice” che fa loro inventare song meno seriose, come se l’arte dovesse esprimersi solo con fare malinconico o arrabbiato. Di certo qui ci troviamo di fronte non al miglior loro album, ma comunque ad uno dei migliori,  e sicuramente ad un lavoro migliore del precedente ‘Helloween’ che soffriva di una esagerata riproposizione di linee melodiche e riff già utilizzati nel loro stesso repertorio, come fosse un collage misto della passata discografia.

Quello fu un disco che poteva essere apprezzato appieno solo dei neofiti del combo, ma per i conoscitori di tutta la discografia esso apparve come un riassunto-sintesi della propria storia, toccando l’auto-plagio. Invece adesso si è tornati ad un impegno reale, pur nello stampo chiaro e netto dell’essere se stessi. Il risultato vede nelle tracce dure le cose più belle, mentre la ballata e i pezzi più divaganti fra ironia e divertimento vanno messi fra i minori, pur riuscendo a essere funzionali e  gustosi, quindi non filler. Lo stile è immediatamente riconoscibile, la verace personalità è pregna di accenti ormai target del loro mostrarsi virtuosi. Come al solito voci fantastiche; chitarre luminescenti e ritmica poderosa; essere funambolici per loro è normale amministrazione. Opera che eccelle in diversi suoi momenti ed è perfetto per festeggiare i quarant’anni di carriera sebbene non sia che un album, ma in fondo la musica è il reale significato dell’esistenza di una band.

Roberto Sky Latini

Giants on the run
Savior of the world
A little is a little too much
We can be Gods
Into the Sun
This is Tokyo
Universe (Gravity for Hearts)
Hand of God
Under the Moonlight
Majestic

Michael Kiske – vocals
Andi Deris – vocals
Kai Hansen – guitars, vocals
Michael Weikath – guitars
Sascha Gerstner – guitars
Markus Grosskopf – bass
Daniel Löble – drums